Alla sagra il vino è cattivo e la musica è peggio. Il saxofonista sfrisa liberamente e ripete fino allo sfinimento lo stesso assolo, forse vuol fare come il generale Santana che durante l’assedio di Fort Alamo fece suonare il Deguello senza sosta, ma è un valzer midi quello che risuona tra le baracche e i padiglioni della sagra e manca la cavalleria. Siamo in pineta nell’immediato entroterra maremmano e non ci sono sfavillanti divise, rombi di cannone, cavalli lanciati alla carica, trombe e fucilieri. Ci sono infradito sabbiosi, bimbi hurlanti, pelli avvizzite dal sole tossico delle 12,47, un invadente aroma di bruciaticcio, la musica di merda.
Io odio tutte le sagre e tutte le rievocazioni e tutti gli assoli di sax sulla base midi. “grazie grazie” dice il saxofonista e attacca il tangaccio con fisa sintetizzata e riparte lo sfriso di Santana (il Generale), la cantante accenna una mossa, il canaccio gonfio a cui ho dato l’avanzo di lombatina abbaia stancamente provato dalla mole e dal caldo, sembra indignato, è lo stesso cane che ogni anno si aggira tra le tavolate della pineta, immutabile zeppelin canino che sorprende, anno dopo anno, per la longevità e la protervia, il corpo ormai dilatato, nell’esercizio smisurato dell’occhio-a-impietosire per procurarsi grasselli di rosticciana, ossi di lombatine, carciofi fritti e diacci (toscanismo), gonfiato ulteriormente dal mio osso riabbaia, la cantante piglia il cichicìchi senza convinzione e parte anche la mazurka, poi il saxofonista dice “ancora un paio di ballabili poi ci scateniamo” e sembra più una minaccia che una promessa e la cantante attacca “applausi” dei camaleonti e mi fa tornare in mente quel jolly che pescai una volta durante un ramino pokerato, neanche il tempo di far emergere il buonumore che parte una versione mezza peruviana, mezza western di the sound of silence e buonanotte.