Minchiatella del Pollice

Man mano che riemergono dal grande pelago sociale, dai quadernetti stropicciati e dalle memorie dei telefoni, ripropongo qui le mie poesiuole vergate in occasione di compleanni, incidenti domestici, esternazioni di politici, memorabili battute del mio giovane figliolo, cene, zingarate et similia.

Questa fu per l’appunto scritta dopo che un pollice (uno dei miei) rimase schiacciato nel portello della lavastoviglie, lanciato a piena forza verso la chiusura.

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MINCHIATELLA DEL POLLICE

Il pollice nel portello della lavastoviglie
bestemmiati i santi e le sette meraviglie.
L’umore all’istante divenne nero.
Più che nero, distruttivo e bandolero.

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Alla sagra del tortello | Sottoclou XXI sec.

Alla sagra il vino è cattivo e la musica è peggio. Il saxofonista sfrisa liberamente e ripete fino allo sfinimento lo stesso assolo, forse vuol fare come il generale Santana che durante l’assedio di Fort Alamo fece suonare il Deguello senza sosta, ma è un valzer midi quello che risuona tra le baracche e i padiglioni della sagra e manca la cavalleria. Siamo in pineta nell’immediato entroterra maremmano e non ci sono sfavillanti divise, rombi di cannone, cavalli lanciati alla carica, trombe e fucilieri. Ci sono infradito sabbiosi, bimbi hurlanti, pelli avvizzite dal sole tossico delle 12,47, un invadente aroma di bruciaticcio, la musica di merda.

Io odio tutte le sagre e tutte le rievocazioni e tutti gli assoli di sax sulla base midi. “grazie grazie” dice il saxofonista e attacca il tangaccio con fisa sintetizzata e riparte lo sfriso di Santana (il Generale), la cantante accenna una mossa, il canaccio gonfio a cui ho dato l’avanzo di lombatina abbaia stancamente provato dalla mole e dal caldo, sembra indignato, è lo stesso cane che ogni anno si aggira tra le tavolate della pineta, immutabile zeppelin canino che sorprende, anno dopo anno, per la longevità e la protervia, il corpo ormai dilatato, nell’esercizio smisurato dell’occhio-a-impietosire per procurarsi grasselli di rosticciana, ossi di lombatine, carciofi fritti e diacci (toscanismo), gonfiato ulteriormente dal mio osso riabbaia, la cantante piglia il cichicìchi senza convinzione e parte anche la mazurka, poi il saxofonista dice “ancora un paio di ballabili poi ci scateniamo” e sembra più una minaccia che una promessa e la cantante attacca “applausi” dei camaleonti e mi fa tornare in mente quel jolly che pescai una volta durante un ramino pokerato, neanche il tempo di far emergere il buonumore che parte una versione mezza peruviana, mezza western di the sound of silence e buonanotte.

Se ripenso a Marino (ex Sindaco di Roma)

Se ripenso a Marino ex sindaco dimissionario dell’Urbe, in questi giorni in cui gli alfieri del nuovo e dell’onestà inedita promessa si perdono in traccheggiamenti, nomine e temporeggiamenti dal sapore antico mentre invece il vecchio sistema è asserragliato dentro un fortilizio fatto di manovre e maneggi, quelli che da sempre tengono a debita distanza i rappresentati, ripenso a una massima da Esodo (23, 1) che mi ero appuntato tempo addietro. “Non associarti con gli iniqui per fare da falso testimone”. Non è perché nutra particolare stima di Marino come uomo politico o simpatia per Marino in sè. Non lo conosco abbastanza. Eppure mi va di ritornare su questa faccenda paradossale in cui si lincia un parvenu, o meglio un dilettante, e col linciaggio, a posteriori, si cancella il ricordo di tutti i trafficoni, ammanicati, superprofessionisti della corruzione e della predazione della risorsa pubblica (distribuiti uniformemente) che hanno consentito ciò che si legge da anni su giornali, riviste e libri di denuncia e di cui si sente parlare da sempre in tv e dall’uomo della strada e su cui non c’è bisogno di aggiungere altro. Se è giusto cacciare Marino non sarà giusto anche ricusare tutti, proprio tutti, quelli che hanno avuto a che fare con le giunte precedenti?
E allora chi resta per governare l’Urbe?

Foto pubblicata su Wikipedia Commons per l’uso gratuito (https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:La_lupa_a_campidoglio.JPG)

Incomprensibili banalità

Le difficoltà generali, la crisi e gli eventi infausti uniti a una grande diffusione di informazioni nebulose fanno aumentare esponenzialmente la quantità di cazzate sprecate. Eppure basterebbe, non dico l’intelligenza o l’arguzia, soltanto il buon senso per capire come stanno le cose anche in quei casi in cui più di tutti sembrano formarsi, o vengono narrati, scenari incomprensibili caratterizzati da inspiegabili omissioni da parte delle istituzioni deputate alla governance delle criticità, dichiarazioni mai nitide, un apparato informativo che pare replicare all’infinito un canovaccio poco credibile, ma sempre funzionante, una montante emotività che anch’essa minaccia di essere incontrollata e invece è fondamentalmente il dispositivo che disinnesca la consapevolezza. Se talvolta è difficile trovare, al fine di edificare una propria solida visione delle cose, conforto nelle parole perché non provare coi silenzi? Perché non concentrarsi su ciò che ci viene sussurato dal non proferito da chi è obbligato all’ufficiosità?

La domenica nel bunker (inedito)

LA DOMENICA NEL BUNKER

La domenica da solo dentro il bunker
a contare le gocce di sudore.
Fuori una pandemia di ottoni,
è il delirio di un vecchio dittatore.

Bande musicali, ricorrenze e fanfare,
santo portato in trionfo e concorsi musicali.
Passeggio furioso d’ombre ed animali,
guerre vinte, guerre perse e guerre da inventare.

Contro la fiera crudeltà d’un tempo svanito
riesumare il ricordo malfermo
di eventi quasi mai avvenuti,
la nostalgia dell’avvenire tradito.

Domenica da solo dentro il bunker.
Contati tutti i fiumi di sudore
puoi dire di aver visto bene in faccia
una quotidiana ed economica versione dell’orrore.

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© 2017
Simone Molinaroli
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