Su La Fine del Mondo Vol. 9 | Gustavo Tagliaferri di www.magmusic.it

Nona recensione per “La Fine del Mondo”. La potete leggere qui sotto o seguire il link alla pagina d’origine

http://www.magmusic.it/2012/11/13/my-two-cents10/

Gustavo Tagliaferri su La Fine del Mondo – Siamo Nati Lontano EP (Salmone Records/Ass Cult Press)

Lontananza è quel sentimento che fa breccia nell’animo di coloro che hanno un particolare affetto per determinate cose e/o persone il cui segno è e rimane indelebile. Scegliere di rappresentarlo attraverso l’avanspettacolo, la danza, e di conseguenza la musica, sembrerebbe insolito, eppure per un progetto come La fine del mondo è decisamente appropriato. Un EP come “Siamo nati lontano“, targato Salmone Records, svolge anche questo compito, oltre a dare l’idea di quello che hanno da dire, attraverso un’opera prima, i singoli componenti. Come Valentina Innocenti, con le sue movenze, si lascia andare al ritmo, così Simone Molinaroli funge da voce recitante su una musica affascinante che si avvicina a certi Calexico (Illuminazione Nr. 1), per non dire ai Bark Psychosis (la title-track) o agli Slint (Forse un giorno/Fissammo l’orizzonte). Momenti che vedono il loro cordone ombelicale in quell’esplosione conclusiva presente, a suo modo, in tutte le occasioni, e che si plasmerà definitivamente in Tutti siamo morti, dove le chitarre di Alessio Chiappelli (quest’ultimo già nei S.U.S.) hanno un ruolo importante. Lo stesso della post-produzione di Gioele “Herself” Valenti: il tocco finale a delle composizioni sfagiolanti.

cropped-FineVolti.jpg

On Looking Up By Chance At The Constellations | Robert Frost

On Looking Up By Chance At The Constellations (Robert Frost)

You’ll wait a long, long time for anything much
To happen in heaven beyond the floats of cloud
And the Northern Lights that run like tingling nerves.
The sun and moon get crossed, but they never touch,
Nor strike out fire from each other nor crash out loud.
The planets seem to interfere in their curves
But nothing ever happens, no harm is done.
We may as well go patiently on with our life,
And look elsewhere than to stars and moon and sun
For the shocks and changes we need to keep us sane.
It is true the longest drouth will end in rain,
The longest peace in China will end in strife.
Still it wouldn’t reward the watcher to stay awake
In hopes of seeing the calm of heaven break
On his particular time and personal sight.
That calm seems certainly safe to last to-night.

 

 

La riduzione del Dissenso

LA RIDUZIONE DEL DISSENSO (ri-pensando e ri-cordando il rumore generato dall’arresto delle Pussy Riot)

 

Vi ricordate ancora delle Pussy Riot dopo aver caldamente parteggiato pro o contro di loro con grande spreco d’energia e risorse linguistiche?

Ridurre il dissenso a una manifestazione risibile, soprattutto rendere il proprio dissenso conforme a uno standard di ridicolezza ufficiale che lo renda veicolabile grazie alle strategie di marketing, agevola solo la legittimazione di una repressione ferrea, ma seria, non contraddittoria, fedele al potere costituito. Che essendo già costituito non necessita di costituirsi nuovamente, ma si accontenta anche solo di un assenso di superficie. I Dissenzienti (o i dissidenti) meglio farebbero a cominciare a prendersi un po’ più sul serio. Singolarmente, in relazione al proprio dissenso, e vicendevolmente, in relazione a delle finalità ipoteticamente condivisibili e potenzialmente realizzabili in uno spazio reale.

 

Nella foto: il mio amico Impiegato Maoista ritratto da me medesimo.

© 2012 SIMONE MOLINAROLI

La Produttività (è principalmente una parola abusata)

Da un lato c’è chi pensa che la produttività sia direttamente proporzionale ai movimenti/minuto degli addetti (i lavoratori), intesi come gruppo non qualificato e privo di identità e caratteristiche singolari. Dall’altro, chi crede che la difesa dei diritti equivalga alla conservazione delle esenzioni e dei privilegi, senza nessuna attenzione per il rispetto delle regole su cui ogni società democratica si regge.

Nel mezzo c’è il disagio e subito accanto al disagio c’è una sacca di economia autoreferenziale, fondata sulla sussistenza del disagio, abitata dai veri parassiti del sistema economico italiano.

Calcolando lo spazio occupato dalla malavita organizzata, dall’informazione, dalla controinformazione, dagli agenti dei servizi, dai venditori e dai compratori di servizi e dottrine riconducibili alla new age e partendo dalla volontà di non appartenere a nessuno dei gruppi succitati, sembrerebbero essersi esauriti lo spazio fisico e lo spazio metaforico.

Fonte: Opera propria (© Jared C. Benedict)
English: Transferred from en.wikipedia.org

L’Italico Underground

L’italico underground mi ricorda il cittadino indignato che ha sistemato figlio e parenti grazie a un usciere del ministero e per trent’anni s’è guardato bene dall’emettere scontrino fiscale nella sua botteguccia.  L’underground è grossomodo come il sopra. Accolite di modesti e rancorosi copiaincollatori, revivalisti, retromaniaci, con logiche e prospettive da impiegato. Strategie promozionali di stampo solidaristico che hanno come finalità ultima la rendita di un qualche arido e insignificante ragioniere.
Tutto un colpetto di gomito e una strizzatina d’occhio e coglioncini col piano soprastante, piano di cui si possono criticare le scelte estetiche nell’attesa di una chiamata. Dopo la quale ci si rende disponibili a tormentoni, carnevalate e miserevoli apparizioni televisive.
Cutugni, solecuoreamore, maionchi, fattori sconosciuti, minchiatelle sonore senza speranza. E il comico tentativo di configurarsi come “sistema economico” a immagine e somiglianza di quello di livello superiore. Peccato sia un sistema basato esclusivamente su professionalità solo millantate  e sulla pecunia dei musicisti. O peggio, sui soldi dei babbi e delle mamme dei musicisti.
In eterno stand by nell’attesa della cooptazione. Ma soprattutto una avvilente, silenziosa e non priva d’odio nei confronti di chi non vi si riconosce, rassegnazione all’epigonalità.

 

La minestra nella foto simboleggia il ribollire creativo dell’underground. La foto l’ho fatta io per evitare problemi di copyright. Ci sarebbero stati soggetti migliori, ma…