Non escludo il ritorno

Qui sotto la postfazione che ho scritto per “Breve Antologia dal Fortòre”, la pubblicazione con cui Ass Cult Press, senza impegno, decide di rientrare in ballo.

come una postfazione

NON ESCLUDO IL RITORNO

Così come nella storia di Ass Cult Press non erano esclusi il silenzio, l’autoesilio, il disarmo unilaterale, allo stesso modo non era escluso il ritorno. E infatti eccoci.

L’antologia viene dal fortóre, dalla gioventù inossidabile e sfrontata, è breve, disorganica, non è considerabile un nuovo inizio, non ha prospettive. È un defunto che ci appare nel sogno, fa dei movimenti incomprensibili con le mani, biascica parole senza suono e poi gira dietro l’angolo e quando, sempre nel sogno, lo rincorri è scomparso.

Sul comodino al risveglio trovi una piuma che non sei sicuro ci fosse al momento di coricarti.

Non sei sicuro.

Simone Molinaroli per Ass Cult Press

Cani al Guinzaglio nel Ventre della Balena nel 2018

Arriva oggi per posta la nuova edizione di “Cani al Guinzaglio nel Ventre della Balena”. Un modo per fare i conti col passato e dedicarsi ai nuovi lavori, un ritorno all’antica pratica dell’autoproduzione.

Questa è la postfazione. Anch’essa autoprodotta.

Due parole sui Cani
a 20 anni dalla prima uscita
postfazione dell’Autore

Questo libro ripropone poesie precedentemente pubblicate in quattro raccolte distinte uscite tra il 1997 e il 2005. Ci sono inoltre alcune poesie più recenti che figuravano nella plaquette “Scritti per la Fine del Mondo” del 2013, le poesie di “Estate Indistruttibile” e alcuni componimenti giovanili rimasti per lungo tempo dentro una cartella in un cassetto e che per nessun motivo mai avrei pensato di poter consegnare al giudizio del pubblico, ma che adesso, in occasione di questo che può essere considerato come un consuntivo personale, affido volentieri al giudizio altrui. Credo di non essere stato un solo poeta. Credo di essere stato, in tempi distinti, più poeti nel corpo di un solo uomo. Credo d’esser stato anche più uomini. Sono stato, di volta in volta, il poeta che metteva in essere la lingua richiesta dall’uomo, dagli uomini. Ed è comunque stata una storia di una strenua ricerca di una lingua che si adattasse alle visioni, alle premonizioni, ai suoni e agli allarmi. Una lingua che, quando decisi di cominciare, non c’era e che se c’era io non incontrai.
Mi piace definirmi poeta disorganico. Sono in realtà un poeta autodidatta. Non con questo che mi manchi un’istruzione superiore come si conviene ad ogni persona nata dopo il boom economico. Sono autodidatta nel campo delle lettere. Non che quando decisi di cominciare, è stato tanti anni fa, agli inizi degli anni ottanta, ai primi anni di liceo, mancassero riferimenti e simboli più o meno autorevoli a cui raccomandarsi e a cui fare riferimento, ma semplicemente ho sempre preferito non avere da rendere conto a nessuno, non avere santo da ringraziare, momaggiare, retribuire con moneta reale o simbolica.
I miei libri sono stati in gran parte autopubblicati. Ovvero pubblicati da Ass Cult Press che non coincide esattamente con me essendo la risultante dell’impegno di più persone. Ma diciamo per comodità che sono stati autopubblicati. Pratico l’autopubblicazione, il DIY* della letteratura da molto prima che diventasse un fenomeno monetizzabile. Da molto prima che il consorzio preposto a gestire i codici isbn decidesse di rilasciare anche codici singoli per libri autopubblicati. Mi piace far così. Probabilmente perché io sono l’unico che realmente voleva vedere pubblicati i miei libri, probabilmente perché non ho mai avuto voglia di attenermi alle regole non scritte del mondo delle italiche lettere (d’altra parte non essendo scritte come pensare di farle accettare a tutti), probabilmente perché non andavo cercando le stesse cose animato dalla stessa ambigua, inutile e smisurata ambizione che animava e anima molti di quelli/e che condividono la stessa mia vocazione. Ho deciso dunque di continuare sulla strada intrapresa ed ecco questa mia antologia esaustiva autopubblicata con questo nuovo strumento del crowdfunding. Dentro ci sono sufficienti elementi per poter dare una valutazione del mio “far poesia” in senso prospettico e retrospettivo.

Ringrazio tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione di questo libro, principalmente chi ha finanziato il progetto e chi mi ha aiutato nell’organizzare le date di presentazione.

*Do It Yourself – espressione anglosassone proveniente dall’ambiente
dell’hardcore punk che indica produzioni realizzate al di fuori dei circuiti
legati alle major.

Primo dell’Anno | una poesia da “Neurovegetazione”

“Primo dell’Anno” è una poesia che scrissi alla fine degli 90. Credo fosse il 98. Di ritorno dalla discoteca dove prestavo servizio, dopo una colazione in un famoso bar/pasticceria dove la scena effettivamente si era svolta.

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PRIMO DELL’ANNO

Marsina bianca di barista e brutti musi di zerbino.
È il primo dell’anno un magazzino di panico
e digestione ufficiale di antichi massi e fuoristrada.
È il primo dell’anno ho i ginocchi sporchi
una bronchite scarburata e parlo da solo.
È il primo dell’anno camminate sottovento
le tigri ascoltano gli odori dal salotto di casa.
Ottimismo. L’era dell’Acquario,
un mattino radioso senza pioggia con nuvole basse
cento fette di limone e ormoni che parlano lingua salata.
Marsina bianca barba e baffi
faccia un cappuccino al ragazzo cocainomane
è faticoso tornare dalla Colombia.
Marsina bianca fammi un tè
guarda la medaglia sul mio petto
ho voglia di dirti
“lavori per uno stronzo
alle 6.00 del primo giorno
dell’era dell’Acquario.”
Invece ti dico
“Grazie Marsina
bianca barba e baffi
grazie e buon anno.”
Noi andiamo
alle 7 .00 il Divino Aviatore atterra in deltaplano
per tatuarmi sul petto i versi che smontano
la matematica del nulla, le strategie aziendali
il cinismo dei lavandini.
E poi l’ultima sigaretta, l’ultima prima dell’assalto
il primo a mani nude senza il bisturi d’ordinanza.
È il primo dell’anno è come un caldo sudore
uno stupro in appalto, una faccia da polizia
un deragliamento di carrelli all’esselunga
la cerimonia inaugurale della guerra
il desiderio inesauribile di scampare alla mattanza.

 

Neurovegetazione | Simone Molinaroli | Ass Cult PRESS

 

“Bengala” di Andrea Betti – da “La Felicità Terribile”

Tra i testi di Andrea Betti contenuti nel volume “La Felicità Terribile/Zucchero Spinato”, volume la cui stampa ho avuto il privilegio e il piacere di seguire personalmente, uno dei miei preferiti era, ed è, “Bengala“.
Dove si ironizza abilmente sulla tristemente ridicola sorte di chi, alla ricerca della visione, s’imbarca in viaggi anche molto impegnativi per poi, una volta ottenutala, finire per scacciarla in quanto ormai solo un ingombro.

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BENGALA

Il mondo è di chi fugge (per due mesi) in India e, all’acme dell’illuminazione, incontra gente di Maresca, di Pontelungo, di Cècina, di Milano, di San Felice, di Akron (Ohio), l’ex cantante dei mattiabazar, e ridiscende le pendici dell’Himalaya con una volvo nera, schizzettata della melma grigia di cenere del Gange, dopo aver bruscamente scacciata dal cofano, addormentata, una magnifica tigre.

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