Gennaio 1995
Scrissi questa poesia nel gennaio 1995. La guerra nei Balcani, che per me fu uno spartiacque emotivo radicale, era sul finire. Pur avendo vividi ricordi della lunga e sanguinosa stagione del terrorismo italico, ci furono elementi inediti nella guerra nei territori della ex Jugoslavia. Tanto da generare uno sgomento e una preoccupazione profonda. Elementi inediti di copertura mediatica, e uno sfruttamento massiccio e strumentale degli eventi sanguinosi che avvenivano oltre l’Adriatico, porsero all’attenzione della disattenta opinione pubblica degli europei d’Occidente una ferocia che a torto si pensava scomparsa col progresso, tanto da far sembrare anch’essa inedita.
Voglio chiarire che non è che sia importante cosa sia stata per me la guerra dei Balcani, ma se così non fosse stato non avrei mai scritto questa poesia.
Non mi ricordo in concomitanza di quale delle stragi provocate dai colpi di mortaio (o dalle mine antiuomo a seconda delle versioni) in mezzo alla gente in fila per i viveri, m’imbattei a notte tarda in una trasmissione televisiva, di ritorno da una tranquilla serata da studente universitario, in un filmato non bonificato ad uso dei telegiornali, in cui si potevano vedere le fasi immediatamente successive all’esplosione.
Dovetti chiamare nel mezzo della notte (era Fuori Orario la trasmissione) l’unica persona che sapevo mi avrebbe compreso e che probabilmente aveva visto la stessa cosa. Dovetti chiamare per essere sicuro di aver visto bene. Perché, nonostante l’infanzia durante la lunga e mai ben ponderata stagione delle stragi italiane, mai mi era capitato di pensare possibile un colpo di mortaio in mezzo ai civili in fila per il pane. Mai avrei pensato di vedere il corpo di un uomo senza mezza testa caricato su una Golf, di cui si potevano vedere, credo, la faringe e le vertebre cervicali.
Per molto tempo molte cose mi sembrarono insensate.
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UNA GUERRA VISTA DA LONTANO
Domattina il movimento sarà veloce.
Nessun problema tranne
un macilento senso di rovina
che prende lo stomaco.
Nessun turbamento nelle geometrie forsennate
dei capitani di vascello.
E se nevicherà mireremo gli amici
sdraiati per terra, calpestati dal mondo
nel riso e nel fumo nessun rischio calcolato
nessun coinvolgimento al bordo dell’esistenza
se non concederci la vista di macelli ordinari
al limite della banalità.
La rovina è la realtà
la menzogna di moderni Cortez
alla conquista delle Americhe
allo sterminio silenzioso dei vinti.
Una guerra vista da lontano
è come un tramonto visto dal vivo;
voltandosi scompare.
Ne rimane il puzzo,
ne rimane il rimbombo cupo
che diventa i fuochi di una festa,
la notte, oltre una collina.
Al puzzo, come in un cesso,
si fa l’abitudine.
Simone Molinaroli | www.simonemolinaroli.org l molinaroli[at]asscultpress.com