si fabbrica la chiesa di san Michele arcangelo – Luigi Di Ruscio

si fabbrica la chiesa di san Michele arcangelo
quell’angelo tutto biondo e azzurrato SS del padreterno e protettore della celere
che arma la mano degli esorcisti che discaccia i diavoli rintanati nelle vulve infocate
(signore liberami dal male oppure moro affogato dalla puzza)
oggi sono venuti in visita il vescovo e il prefetto accoppiati in maniera giudiziosa
baciare l’anello sacro non sputarci sopra perdio
sotto un sole d’arsura sogno la rivoluzione festa delle classi oppresse
o come scatenamento della follia criminale
il capocantiere controlla e cronometra tutti i miei istanti
il sabotaggio è l’unica salvezza non farti spaccare bisogna durare lungamente
è la furia muraria di mio padre che tiene tutto in piedi
a volte non penso ai mattoni che carico e alla terra che scavo
guardo le colline e penso a quella che mi ama
e di domenica andiamo a vedere il mare
meditiamo di mettere su casa e perpetuare in eterno la specie proletaria
la libidine che ci farebbe scopare qualsiasi stronza
come si costruisce una qualsiasi chiesa
e mi veniva incontro sorridente e stellata
per una nuova esplosione di sessi gloriosi

 

(versione inclusa nel volume “Firmum 1953 – 1999” edito da peQuod)

 

 

 

 

Luigi Di Ruscio è nato a Fermo (AP) il 27 gennaio 1930, emigrato in Norvegia nel 1957 dove ha lavorato per anni quaranta in una fabbrica metallurgica, sposato con Mary Sandberg con cui ha avuto figli quattro.
È morto ad Oslo il 23 febbraio 2011.

da “Il canto di me stesso” di Walt Whitman

52
The spotted hawk swoops by and accuses me, he complains of my gab
and my loitering.

I too am not a bit tamed, I too am untranslatable,
I sound my barbaric yawp over the roofs of the world.

The last scud of day holds back for me,
It flings my likeness after the rest and true as any on the shadow’d wilds,
It coaxes me to the vapor and the dusk.

I depart as air, I shake my white locks at the runaway sun,
I effuse my flesh in eddies, and drift it in lacy jags.

I bequeath myself to the dirt to grow from the grass I love,
If you want me again look for me under your boot-soles.

You will hardly know who I am or what I mean,
But I shall be good health to you nevertheless,
And filter and fibre your blood.

Failing to fetch me at first keep encouraged,
Missing me one place search another,
I stop somewhere waiting for you.

52

Il falco maculato mi si precipita accanto e mi accusa, si lamenta delle mie chiacchiere e del mio ozio.
Neanche io sono domato, io pure sono intraducibile,
Emetto il mio grido barbarico sopra i tetti del mondo.
L’ultima folata del giorno si trattiene per me,
Lancia dietro le altre la mia effigie precisa quanto ogni altra per il deserto pieno di ombre,
E lusingando mi trascina verso il buio e il vapore.
Come l’aria svanisco, scuoto i miei bianchi capelli al sole che fugge,
Spargo la mia carne in vortici e la trascino in frange merlettate.
Lascio me stesso alla terra per nascere dall’erba che amo,
Se ancora mi vuoi cercami sotto le suole delle scarpe.
Difficilmente saprai chi io sia o che cosa significhi,
E tuttavia sarò per te salutare,
E filtrerò e darò forza al tuo sangue.
Se non mi trovi subito non scoraggiarti,
Se non mi trovi in un posto cerca in un altro,
Da qualche parte starò fermo ad aspettare te.

 

la traduzione è quella di Ariodante Marianni

Quando ho scoperto mio padre – Luigi Di Ruscio

quando ho scoperto mio padre che guardava le formiche
il sole spaccava le pietre e intontiva i muratori senza cappello di carta
una buca scura intorno granelli di terra impastata
e il brulichio delle formiche con troppo grandi semi trascinati
e mio padre con schifo ha strisciato il piede sul nido
così ho imparato a guardare le formiche e ad avere questo schifo
e l’umano in mio padre è in questo astratto schifo
questo assalto dei sensi della nullità che mio padre affoga
con la partita a stoppa e ogni vittoria e ogni perduta salutarla con vino
e la sbornia gli porta una sorta di furore disperato
e scaraventa piatti e bicchieri contro il muro
e si condanna in questo furore o nel tacere
e nella fatica che è una battaglia perduta senza senso e senza scopo
mio padre ha scoperto nella formica la propria immagine e la distrugge
il vino la fatica il fumo gli scassano il petto con una tosse paurosa
che è stata presente in tutti i miei sogni della mia infanzia
il vizio di guardare la formica ha perduto mio padre
ed io ora vivo in questo formicaio con la stessa rabbia di mio padre
che distrugge preso da schifo la laboriosa formica

Luigi Di Ruscio

Luigi Di Ruscio

Forse un Giorno/Fissammo l’Orizzonte | La Fine del Mondo

Ascolto in anteprima per il primo estratto dall’ep d’esordio de “La Fine del Mondo” di cui il sottoscritto è voce e paroliere. [www.lfdm.org]

Alessio Chiappelli – chitarre
Simone Naviragni – basso
Simone Molinaroli – voce recitante, testi
Matteo Parlanti – batteria
e la preziosissima produzione di Gioele Valenti (Herself)

FORSE UN GIORNO / FISSAMMO L’ORIZZONTE

:::
Un giorno finiremo per non esserci mai conosciuti
e depistare il pensiero che ci ricorda alleati
nell’impresa temibile che chiamano amore.
Ci aiuteranno quei solchi scavati dai giorni
sulla gioventù che adoravamo
sullo splendore violento della nostra eversione.
Le ombre ci persuaderanno a chiederci
in quale giorno c’eravamo trovati,
in quale giorno abbandonati,
se mai una musica, quale.
E i fonogrammi da un tempo insidioso
nulla spiegheranno,
come le strette di mano e i saluti compilati
con entusiasmo commercialista.
Un giorno forse, riusciremo a non esser stati mai
abbagliati, nudi, stupiti,
storditi da un presente imprecisato
che non cercava ragioni.
Un giorno forse, come i sassi
non sapremo più le parole
ed estranea per noi sarà la verità.
Quel giorno forse, riusciremo a non essere stati mai.

:::
Fissammo l’orizzonte
fingendo una sorpresa adolescente.
Mano nella mano ci parlammo
lingue complesse e un canto siderale.
Per sempre lontani dal timore
di una vita irrealizzata,
le fatiche, le vanità, la presunzione,
tutta la materia del Mondano,
risultarono evidenza innocua
per chi senza sbagliare
la bellezza, con la promessa di una vita migliore
risoluto aspettava l’estinzione.

Simone Molinaroli – La Fine del Mondo
(www.lfdm.org)

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