Un testo inedito del 2015 su cui stiamo lavorando con Alessio Chiappelli in vista dell’ipotetico secondo volume del nuovo progetto DESIDERANTES.
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SONO SUONI
Sono suoni. Non sono cose.
Né umani, passi in avvicinamento.
Sono suoni usciti dal congegno
che produce suoni e consenso.
Il malore innominato che curva,
in piega esce di scia e avanza,
guadagna minuti vitali e prima ________________Sempreprima
del suo padrone e portatore
taglia il traguardo e affonda
risoluzioni e convenzioni,
convenevoli e conventicole.
C’è la musica e c’è il barile;
la paventata guerra fa star tutti a cuccia.
Buoni buoni come il cane alla catena
che è un buono sui generis,
il buono che una volta liberato
sparge merda, dolore e ingiuria.
Una poesia da una raccolta inedita che medito di far stampare entro la prima metà del 2016.
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MAGGIO ROVENTE PORTA IL CONTO
Maggio rovente porta il conto
innesca il timer di un conto rovesciato
al cui termine attesa e paura,
deluse dallo scherzo,
si suicidano brillando nell’aria sgonfia
come una canzone dei Pixies. [oh, Ed is in a better way]
Maggio rovente ha la pistola
colpo in canna e niente da perdere
fredda il ragioniere incarognito
del pensiero transitorio
e poi ci osserva
con lo sguardo che segue
i discorsi esaustivi.
Non che lo ritenga un capolavoro di composizione, però questo è un testo che ho scritto dopo aver visto la comparazione fotografica tra la frangia conservatrice e forzaitalica da santa ciucciapiselli alle serate bungabunga e i ciuffi colorati da sindacalista tuttadunpezzo che pensa solo ai diritti delle minoranze, dei fintoinfortunati, alle cene pagate, ai congressi blindati e agli interessi degli amicucci che connotano il prima e il dopo politico della candidata consigliera abruzzese che non nomino.
Un bel capolavoro, questo sì, di trasformismo.
Comunque è stata scritta al lavoro. Ho deciso di non rimaneggiarla per conservare la sua verve originaria. Ho cambiato di posizione a due parole che non mi ero accorto facevano la rima. E nella Minchiatella Poetica la rima è importante.
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MINCHIATELLA POETICA
DELLA CANDIDATA INTERCAMBIABILE
L’intercambiabilità del candidato
Una calotta di capelli fatta al fotoscióp
E la mite conservatrice frangia
In ciuffi da brava progressista si càngia.
Amante del diverso e dell’uguale
Dell’uguale e del diverso
Dalla pazienza di chi legge dipende
Quante volte ripetere il sesto verso.
Nella notte tra mercoledì 4 e giovedì 5 marzo, Pistoia è stata colpita da un fortunale violentissimo che ha causato danni ingenti e sgomento inedito nella popolazione disabituata a questo genere di eventi atmosferici.
Inutile ricordare che le polemiche tra politici sono cominciate subito. Sapete tutti che succede sempre così. Con tempismo sciacallesco i professionisti della dichiarazione, i richiamatori di popolo all’unità, quelli che la disgrazia ci rende più forti, hanno cominciato all’istante il loro intollerabile spettacolino.
Ho partecipato a uno scambio di battute sui social network, dove una giovane promessa della politica locale veniva presa per il culo a causa del vezzo di essersi fatto ritrarre con la scopa in mano nell’atto di ramazzare due detriti. Tutto questo mentre la città in ginocchio cercava di rendersi conto di qualcosa di assolutamente inedito.
Un peccato veniale. Una cosa normale in quest’epoca di pupazzi. Una cosa che, se è lecito pensare che il protagonista faccia consapevolmente per cercare consenso, è giusto stigmatizzare ironicamente. Ed è giusto che nel gioco della spettacolarizzazione provinciale dell’impegno anche il protagonista accetti di buon grado.
Per uno che ramazza, altri che ridono.
Ieri, durante il turno di lavoro, ho pensato di dedicargli una Minchiatella Poetica. Non necessariamente a una persona in particolare. Ma a tutti quelli che condividono questa caratteristica di voler trarre un guadagno personale dalle disgrazie altrui, che usano strumentalmente le catastrofi per mettersi in buona luce davanti all’elettorato.
È un sonetto. L’ho pensato mentre guidavo lo Stand-on Electric Pallet Truck. L’esito sarà quindi commisurato.
Il titolo viene da un modo di dire che spesso usava mio padre. Penso derivi dal francese Blagueur. Una derivazione che non ho mai sentito usare da nessun altro se non da mio padre, che l’usava spesso per denominare persone use a parlar molto senza quagliare granché.
Chi si riconoscesse nelle mie parole, chiunque egli sia, sappia che stavo pensando proprio a lui. Ma non si offenda. Oppure si offenda pure, ma ci ripensi.
***
IL BLAGHÈRI
Meglio avrebbe fatto e gran figura
Chi mai tenne motosega nelle mano
A non fare gran proclami e a parlar piano
Allor che lo paese soffre gran sciagura.
Ché bene non è far finta di aiutare
Richiamare all’armi molte genti
Che si pensano sciocche e prepotenti
E sempre molto dire e niente fare.
Poteva ad esempio andare con l’accetta
E serbar lo fiato e spendersi in sudore
Per rimuover lo Gran Pino collasato
Sulla soglia de lo grande caseggiato
Da gran tempo or sono quarant’ore
E liberar lo passo alla vecchietta.
Ho scritto questa poesia dopo l’ultima tornata elettorale. Senza particolari rancori verso nessuno in particolare. Soltanto constatazioni. Senza pensare a ciò che poi è seguito. Anche se considerando quello che è venuto dopo l’impressione di saperne di più gli uni degli altri si è rafforzata.
ILLUMINAZIONE Nr. 2 (adesso sappiamo molto di più gli uni degli altri)
Adesso sappiamo molto di più gli uni degli altri
e adesso sappiamo molto di più gli altri degli uni.
C’erano quelli che la sapevano lunga
e c’erano quelli che la sapevano tutta
e c’era il peggiore di tutti,
quello che sapeva di non sapere.
Peggio ancora, quelli che sapevano che non sapevi.
Custodivano memorie non falsificabili
della vita di ognuno,
le usavano a cena o all’ora dell’aperitivo
per ridere, classificare, compartimentare.
Erano Tristi Vopos
e trasportavano la verità
nella busta per la spesa.
Erano minuscole scaglie dialettiche
per un ancièn regime liberale
che terminasse la bellezza ed il reale.
Erano minuscoli loro,
l’ordine a immagine loro
e le possibilità che riuscivano ad immaginare
Solo brillava , ciò di cui non avevano bisogno.
La pace sociale ci persuase d’essere amici.
Ma una pace costruita con le stragi
non poté che finire per decreto.
La pace sociale ci persuase d’essere amici.
Ma una pace costruita con le stragi
non poté che finire per decreto.
Alle ore 20 di una sera qualsiasi
il Portavoce di un Governo nebuloso ed informale
illustrò a reti unificate
un piano semplice e funzionale:
Noi abbiamo creato il problema
solo Noi possiamo essere la soluzione.
Non avete scelta.
La tecnologia risolverà i problemi della tecnologia.
La politica quelli della politica.
La finanza quelli venuti con la finanza.
Scherzo crudele e inculata vischiosa
costarono molto e restò un fastidio,
ad alcuni un prurito, ad altri un dolore.
Per tutti un modulo di gradimento
su cui indicare il livello di soddisfazione.
a) Ok!
b) Sì, ancora! Mi è piaciuto molto
c) Non saprei
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