Il Dispositivo Stocastico (Defender)

Mi ricordo che alla fine degli anni 70 nei bar si giocava a un videogame chiamato Defender. Ci giocavo anch’io. Nella sua semplicità il gioco prevedeva un dispositivo stocastico (l’iperspazio) per le situazioni di estrema difficoltà (le porte coi sassi si direbbe a Pistoia). Si poteva premere un pulsante e riapparire in un punto qualunque dello schermo. Ecco. Le milizie dell’isis hanno premuto quel tasto e casualmente, dalla famosa collina siriana, si sono trovati a “sud di Roma”. Così nell’immaginario collettivo indotto dall’incessante narrazione di uno scenario di violenza diffusa e incontrollabile.

Allo stesso modo, nello stesso immaginario, i nuovi occupanti dei palazzi del potere sembrano esservi arrivati premendo quel pulsante, proiettativi a loro insaputa, senza programmazione, da gente sprovveduta senza piani sul breve/medio periodo.

E nel medesimo immaginario l’elettore ha la colpa d’essere livido, rancoroso, ignorante, testardamente incompetente.

Nel medesimo immaginario la rovina di tutto è da imputare al Suffragio Universale.

Nel medesimo immaginario è bastevole frequentare un festival culturale per autoconsiderarsi, per osmosi, élite culturale.

Il dispositivo stocastico è una cosa divertente da bambini.

Organici e contemporaneamente no

Va di moda essere organici e contemporaneamente mutuare attitudini e abitudini di gruppi apparentemente disorganici, che sono invece solo un sottoprodotto funzionale, forse addirittura vitale, del sistema. Va di moda deprecare la società di massa, ma non ciò che la rende di massa. Ci si distingue dall’uomo comune con lo stesso esclusivo accessibile con cui si distingue l’uomo comune adiacente. Ma questa gente c’è o ci fa?

I poponi e i ramarri

In ogni discussione tra colleghi, è inevitabile, arriva sempre qualcuno che ha scavato a mani nude nella miniera di diamanti, che ha guidato il bilico per 179 ore consecutive, che a 50 anni ha 44 anni di contributi, che ha fatto guerra di trincea sopravvivendo e utilizza queste sue sovrumane fatiche come paradigma per valutare l’intensità delle altrui difficoltà lavorative. Una furia dialettica alimentata da numerosi “sai una sega te!” e altrettanto innumerevoli “vai a sentire, vai! Alla bastianacci e shostakovich come si lavorava…” Dove ovviamente si rischiava di morire ogni minuto.

Racconti che tracciano scenari che sembrano strappati alle scene più strazianti de “Il salario della paura”.

E invece hanno movimentato i poponi per tutta la vita.
I poponi e i ramarri.

Fonte: Opera propria (© Jared C. Benedict)
English: Transferred from en.wikipedia.org

Chi ben comincia… (un lunedì qualunque)

Il lunedì comincia bene.

Ore 5.30 a.m. apro l’ufficio ed è esploso il tubo della merda.

Ore 7.30 a.m. il telefonone gracchiante del collega ha una playlist composta di due sole canzoni. La foto che spacca e accompagnami a casa.

Ore 11.30 a.m. altri due colleghi si prendono a male, malissime parole. Tento timidamente di fare da paciere. Poi, memore degli antichi insegnamenti e per evitare che il lunedì diventi ulteriormente peggiore, mi scanso.

Alla fine della giornata mancano circa 9 ore.

Ho pensato anche di chiudermi in cantina, ma la pioggia come nel 2013 potrebbe allagarla.

Il sindacalista è “troppa trama”

Il sindacalista, come la scena del corteggiamento nel film porno, è troppa trama. Ieratico come un pretonzolo e con i tempi di Celentano arringa l’uditorio provato dalla levata antelucana. Il rinnovo del contratto, dice lui, sarà complicato. Insiste sulla complicazione, 45 minuti di introduzione sulle nuove forme contrattuali immagino servano a inoculare l’ansia che fa votare senza immaginazione. Insiste. Difficoltà insormontabili ci aspettano. Ci vuole unità, il rinnovo è complicato, difficoltà, complicato, e proprio al climax della difficoltà insormontabile gli squilla il telefono. E risponde.

Mi rimetto le cuffie e ascolto Van Morrison.