C’è bisogno di Democrazia Cristiana

C’è grande bisogno di Democrazia Cristiana.
C’è grande bisogno di una nuova balena capace di contenere tutti i transfughi, più o meno dichiarati, della vecchia DC. Le Vecchie Volpi e i nuovi Renzi. I temibili mestieranti e i nuovi adepti, troppo giovani anagraficamente per essere stati democristiani militanti, ma portatori di un gene che li associa a chi nella vecchia grande balena ha soggiornato a lungo.
Uniti in una diaspora funzionale alla trasformazione di tutti i partiti in partiti cattolici. O perlomeno in partiti in cui la componente cattolica punti i piedi e rivendichi il proprio ruolo di ago della bilancia, cercando di indirizzare i partiti stessi verso scelte all’insegna della moderazione e della virtù cattolica, dei dettami di santa romana ecclesia, del liberalismo nazionalpopolare, un tripudio di cilici invisibili e festicciole inconfessabili tra proibizionisti, antiabortisti, nemici giurati di ogni indagine scientifica e custodi dell’accoppiamento naturale.
Ecco, io sento che loro, i cattolici e i moderati,  hanno bisogno di un partito nuovo. Un partito che scelga chiaramente di restare indietro rispetto alla società, un partito che si ritenga esito politico naturale di un sistema valoriale condiviso largamente, ormai soltanto immaginato.
Ecco, i cattolici e i moderati hanno bisogno di un partito nuovo.
Hanno bisogno della Democrazia Cristiana.

 

 

 

immagine © Matteo Baroncelli

si fabbrica la chiesa di san Michele arcangelo – Luigi Di Ruscio

si fabbrica la chiesa di san Michele arcangelo
quell’angelo tutto biondo e azzurrato SS del padreterno e protettore della celere
che arma la mano degli esorcisti che discaccia i diavoli rintanati nelle vulve infocate
(signore liberami dal male oppure moro affogato dalla puzza)
oggi sono venuti in visita il vescovo e il prefetto accoppiati in maniera giudiziosa
baciare l’anello sacro non sputarci sopra perdio
sotto un sole d’arsura sogno la rivoluzione festa delle classi oppresse
o come scatenamento della follia criminale
il capocantiere controlla e cronometra tutti i miei istanti
il sabotaggio è l’unica salvezza non farti spaccare bisogna durare lungamente
è la furia muraria di mio padre che tiene tutto in piedi
a volte non penso ai mattoni che carico e alla terra che scavo
guardo le colline e penso a quella che mi ama
e di domenica andiamo a vedere il mare
meditiamo di mettere su casa e perpetuare in eterno la specie proletaria
la libidine che ci farebbe scopare qualsiasi stronza
come si costruisce una qualsiasi chiesa
e mi veniva incontro sorridente e stellata
per una nuova esplosione di sessi gloriosi

 

(versione inclusa nel volume “Firmum 1953 – 1999” edito da peQuod)

 

 

 

 

Luigi Di Ruscio è nato a Fermo (AP) il 27 gennaio 1930, emigrato in Norvegia nel 1957 dove ha lavorato per anni quaranta in una fabbrica metallurgica, sposato con Mary Sandberg con cui ha avuto figli quattro.
È morto ad Oslo il 23 febbraio 2011.

Calcio sì, Calcio no.

Calcio sì, Calcio no.

Da ex appassionato ormai quasi completamente all’oscuro di ciò che accade nel mondo del football, da anni non riesco ad andare oltre il diciassettesimo minuto senza dormire, oggi ho visto Fiorentina – Catania. E ho scoperto che ci sono ancora dei buoni motivi, almeno due, per guardare 90 minuti di calcio senza addormentarsi al 17′.

1. L’assist a cucchiaio di Jovetic.
2. L’ordinaria amministrazione del signor Pizarro.

Ho avuto anche la conferma della bontà dei motivi che dal calcio mi hanno allontanato, sentendo nominare alcuni noti e scarsi vendipartita (non in Fiorentina – Catania) di cui non farò i nomi. Sinceramente non riesco a tollerare la spregiudicata, incomprensibile e visionaria strategia di chi ancora li fa giocare.
Per tutti gli amanti del Calcio Narrato che, come ogni altra cosa narrata, è meno sostanzioso, ma più esteso del Reale, un’immagine d’epoca ritraente il grande Lennart “Nacka” Skoglung. Che mio padre Romano raccontava come un campione impareggiabile nel gioco del calcio e nella sregolatezza.

Conflittualità Trascurate

Spesso chi sul lavoro si propone di lottare per i propri diritti legittimi (non sto ovviamente parlando delle grandi vertenze di cui si occupano i “Sindacati”), vuoi per senso di giustizia, vuoi per amor proprio, per non comuni capacità di determinazione, per una ben ponderata aspettativa di miglioramento sociale, per una propensione consapevole o meno all’eudemonismo, finisce con l’ottenere, in termini di “diritti”, ben più di quanto potesse aspettarsi. E si ritrova coi suoi diritti, suo malgrado con dei privilegi e circondato dall’invidia e dall’acredine di quelli che la forza di rischiare non l’hanno, in un ecosistema palesemente peggiorato, il cui portato di conflittualità  annulla ogni vantaggio personale.