Spesso chi sul lavoro si propone di lottare per i propri diritti legittimi (non sto ovviamente parlando delle grandi vertenze di cui si occupano i “Sindacati”), vuoi per senso di giustizia, vuoi per amor proprio, per non comuni capacità di determinazione, per una ben ponderata aspettativa di miglioramento sociale, per una propensione consapevole o meno all’eudemonismo, finisce con l’ottenere, in termini di “diritti”, ben più di quanto potesse aspettarsi. E si ritrova coi suoi diritti, suo malgrado con dei privilegi e circondato dall’invidia e dall’acredine di quelli che la forza di rischiare non l’hanno, in un ecosistema palesemente peggiorato, il cui portato di conflittualità annulla ogni vantaggio personale.
Opinion [un]Maker
Le condizioni minime dell’ottimismo (il mio, non quello di Monti)
Mario Monti non perde occasione per ricordare che è Presidente del Consiglio dei Ministri di un paese diverso da quello di cui è in realtà Premier.
Si dichiara ottimista.
Secondo me Mario non si guarda attorno. E vive realmente in un altro paese.
Vorrei dire un paio di cose a Mario.
Signor Mario Monti
apprendo dai mezzi di comunicazione che si è dichiarato ottimista. Mi dispiace dirle, mi dispiace perché mi piacerebbe intravedere realisticamente delle prospettive per il futuro, che non potrei dire la stessa cosa. Il panorama che circonda me è abbastanza desolante e per quanto condivida, non ci crederà ma è vero, alcune delle sue analisi e delle sue provocazioni, ritengo che lei e i suoi collaboratori non stiate facendo né il giusto né il sufficiente per risolvere i problemi del paese.
Senza addentrarsi in complesse analisi socio-politiche, le elencherò alcune condizioni minime, legate a motivazioni personali, senza il rispetto delle quali non mi dichiarerò ottimista in merito alle prospettive della nostra Nazione.
Sarò ottimista quando la mia busta paga differirà sensibilmente da quella, in Lire, che prese mio padre nell’aprile 1993 e che conservo come una reliquia.
Quando la principale forza economica del paese non saranno più le mafie, la malavita, il malaffare, i parassiti, gli speculatori e i prestatori di denaro. Quando non saranno più questi gli interlocutori di chi cerca di agire nel mondo del lavoro e dell’intrapresa.
Quando sarà emanata una legge che dichiari illegale il definirsi Moderati.
Quando i Poeti smetteranno di autocatalogarsi in generazioni inesistenti per avere un posticino dove stare.
Mi rendo conto che in merito all’ultima condizione lei non potrà molto, ma mi accontenterei di vedere dei progressi in relazione alle altre tre.
RAOUL VANEIGEM | Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations
In questo grande contenitore d’immondizie, tracker, bachi che scavano dentro il pc alla ricerca di dati sensibili e numeri di carte di credito da clonare, proliferazione incontrollata di notizie inattendibili, divulgazione su vasta scala di leggende metropolitane, in questo temibile contenitore che è il web c’è anche la versione integrale francese del “Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations” di Raoul Vaneigem.
L’indirizzo è questo: http://arikel.free.fr/aides/vaneigem/
La proliferazione di minibuddha
Proliferazione di minibuddha. Foto scattata a Chiang Mai (Nord Thailandia) al Wat Phrathat Doi Suthep (วัดพระธาตุดอยสุเทพ per il lettore Thailandese) e ritrovata in un rullino sviluppato, ma mai mandato in stampa, e rimasto in una busta dal febbraio 2010. È stato il primo rullino che ho passato dentro il nuovo scanner (in questo modo mi svincolo dall’uso pericolosissimo del participio passato del verbo che non voglio usare nemmeno all’infinito presente) per pellicole fotografiche che ho appena acquistato.
Il Dramma del Povero Marciatore
A sedici giorni dal fattaccio posso scrivere quel che penso di Alex Schwazer. Perché a caldo erano tutti indignati. E si rischiava di finire nel calderone dell’indignazione pelosa.
Perché era indignato anche quello che, gonfio di coca alla guida del Suv, cerca d’investirti sulle strisce per divertire le amichette, anche il bottegaiuccio ladro sotto casa, anche il bagarino, lo spacciatore, il ricettatore, il prete pedofilo, anche quello che non paga le tasse, anche i camorristi, anche quello che ha vinto il concorso truccato, tutti indignati per il riprovevole comportamento del traditore della patria. E allora, giù al reprobo, vomitare valanghe di merda senza nessuna cognizione, senza porsi nessuna questione, tirarci dentro anche la fidanzata in un’escalation ad uso e consumo dei rotocalchi e degli sciocchi.
Io ho molta comprensione per il povero Schwazer. Povero perché colto in fallo e accusato d’infangare il sacro spirito olimpico dai controllori di un movimento che, per dimostrarsi pulito e continuare a legittimarsi, ogni tanto individua una vittima sacrificale da immolare sull’altare dello Sport Puro e dei contratti di sponsorizzazione.
Perché, non posso dirlo con certezza e convincere nessuno che ciò che dico corrisponda a verità certa, ho l’impressione che il doping sia una pratica molto diffusa. Forse la norma. Tanto da far esprimere a molti la necessità della legalizzazione del doping stesso.
Povero perché in fondo il doping è dannoso soprattutto per chi lo pratica e non si potrà certo dire che il Povero Marciatore non fosse un buon atleta solo perché colto a fine carriera ad alterare le proprie prestazioni. Perché in definitiva l’ha fatto per i dirigenti della federazione, quella manica di Panzoni incravattati, pagati per non fare un cazzaccio nulla (permettetemi questa colorita espressione pistoiese) e che nessuna forma di rinnovamento politico e sociale (se mai un rinnovamento c’è stato) è riuscito a scalzare dalla loro posizione. Centinaia di governi, due repubbliche e mezza e i tecnocrati dello sport restano al loro posto, con la solita espressione e la solita sicumera. Povero perché costretto a sopportare le dichiarazioni stupite e paternaliste dei suddetti dirigenti. Perché l’ha fatto per permettere al nazionalista quadriennale di commuoversi un poco sul divano durante l’Inno di Mameli, prima di tornare al consueto italico egoismo. Povero perché ha dovuto sopportare il moralismo ipocrita di gente abituata e addestrata alla spregiudicatezza, alla corruzione, all’aggiramento della norma, al colpetto di gomito e alla strizzatina d’occhio, al concorso truccato e alla raccomandazione del prete. L’indignazione di chi, comprando il junkie food della kinder ai figli, ritiene diseducativo che il testimonial del suddetto marchio alteri in modo fraudolento le proprie prestazioni sportive. Ma non è più diseducativo abituare il giovane al disordine alimentare?
Ma come potrebbe Alex Schwazer vergognarsi per l’indignazione media del cocainomane medio alla guida del suv (ritratto dell’Italiano Moderno)?
Come sempre la luna viene ingoiata dal dito…
Agli organizzatori del Rolando Garros, che pretendevano che si cambiasse i bermuda sfrangiati di jeans, André Agassi disse: “mi toglierò i miei bermuda tamarri quando voi, come a Wimbledon, toglierete i cartelloni pubblicitarii da bordo campo”.
p.s.
Mi sono permesso di reinterpretare la battuta di Agassi.
Col copyright siamo a posto. La foto l’ho fatta io.