Il passaggio dal vinile al cd

Tra i tanti fenomeni inspiegabili e perniciosi del nostro recente passato il passaggio dal vinile al cd all’inizio degli anni 90. Supportato dal moltiplicarsi delle voci, quasi mai autorevoli, sulla qualità del suono, sulla indistruttibilità del supporto, sulla comodità di stoccaggio, il passaggio avvenne senza che nessuno veramente protestasse. Tutti contenti di comprare un supporto indistruttibile con incisa sopra della musica di buona qualità e pagando almeno per un decennio dei prezzi spaventosi se rapportati al costo di realizzo dell’oggetto e dunque le case si sono riempite di questi oggetti di plastica scadente a cui nel tempo si sono incrinate le custodie, spezzati i fragili supporti della parte apribile, impolverata la superificie esterna che per non so quale motivo chimico diventa al contatto con la polvere appiccicosa come una pentola dove è stato cotto il sugo. Ma almeno il supporto sarebbe stato eterno.

Io ero dubbioso. L’odio per l’aspetto alimentava i dubbi sulla bontà delle ragioni dell’avvento del cd. E ho continuato a comprare le versioni limitate in vinile. Poi ho comprato anche qualche cd, ma pochi. Però ad alcuni sono affezionato.

Il supporto del resto è eterno. Almeno quello.

Stamani sono andato a prendere un cd dalla libreria per ascoltarlo mentre cucinavo. Una compilation del 93 di una collana chiamata Volume. Il n. 6. Uno di quelli a cui sono affezionato
A metà del primo brano comincia a impallarsi. Il disco è intatto, la superficie non ha graffi, ditate, olio di schiacciata spalmato sopra, non è stato maneggiato dai bambini. Ed io sono uno che tratta veramente bene i dischi e i cd.
Insomma è arrivato al famoso fine vita che alcuni già all’epoca prevedevano per questo supporto eterno.

Quello che io mi chiedo oggi come ieri è: quelli che sostenevano la campagna di propaganda fatta di grandi verità scientifiche senza base li pagavano? Gli mandavano a casa degli stock di cd gratuiti?
Ditemelo voi che sostenevate il cd, vi pagavano?
E adesso per fare i replicatori di slogan vi pagano?

La rassicurante copia della bacheca

È rassicurante vedere che, a prescindere dalle conoscenze, dall’appartenenza politica e dalla collocazione sociale, si abusa sempre degli stessi vocaboli e delle stesse movenze. Però adesso non è più necessario fare complesse ricerche d’archivio per dimostrare la viscida e surrettizia ipocrisia che anima le dichiarazioni di certi campioni della politica, dell’impegno, della cultura. Adesso basta farsi una copia della bacheca altrui.

Che ne faremo del livore?

L’interrogativo che mi trascino dietro da anni e che temo avrà una risposta indesiderata è questo: tutto questo accumularsi di livore, di discorsi mal meditati, di violenza verbale e manifestazioni orgogliose di pervicace ignoranza un giorno non lontano avranno delle conseguenze non ben quantificabili.

Avranno il coraggio di assumersi le proprie responsabilità gli attori di questo inabissarsi collettivo? C’è la faranno a far fronte alle difficoltà che ne conseguiranno oppure si cacheranno in mano*?

*cacarsi in mano è un’espressione spesso usata in Toscana per definire la situazione di fallimentare disagio in cui si viene sovente a trovare chi, chiamato a dare prova di una capacità esposto all’altrui giudizio, finisce per sbagliare miseramente. Esempio classico è il calcio di rigore. Si dirà quindi che il calciatore che sbaglia l’importante tiro piazzato si è “cacato in mano”.

L’indignazione del portavoce

Non passa giorno che il portavoce di una categoria non si indigni per le dichiarazioni di qualcuno. Secondo me è necessario che quelli che fanno parte delle categorie accettino il fatto che a qualcuno possono anche restare sul cazzo. Mentre invece quelli che rilasciano le dichiarazioni dovrebbero palesarsi in modo più limpido. Non temere di scontentare qualche categoria e perdere consenso, anche quel poco delle categorie più piccole o quel tanto a sorpresa delle categorie non ben delineate. Senza far finta di voler bene a tutti. Ché non è vero che volete bene a tutti. Forza!