“L’oscuro patrimonio (estratto)” anteprima di un progetto segreto

Io, Jacopo Andreini & Gigi Fagni stiamo segretamente lavorando a una bella faccenda di cui questo modesto, ma volenteroso, contributo video non è che una parte infinitesimale.

Prima di una serie di anteprime che speriamo siano poche. Il che significherebbe che il progetto ha trovato una forma in tempi brevi.

Il Cenotafio delle Illusioni

Il Cenotafio delle Illusioni

La sua capacità d’adattarsi cessò
d’esistere al risveglio una mattina
quando tra i calzini e le mutande
scovò il cenotafio delle illusioni
che alla sua vita dettero il suono
d’un infinito lamento felino.
Poi nell’automobile del secolo prima
piena di scorie parlanti un sonno
convulso e millenario e come ogni mattino
la commovente alba appesa
dietro la rampa d’ingresso della tangenziale.
Scalare due marce, procrastinare,
pensando al solito
“quante ore del cazzo alla guida”
e accelerare nel mistico silenzio autostradale.
Qualcuno dei tanti che dissero qualcosa
Ed era prevedibile
A fine giornata finì per avere ragione
Avendo comunque tirato una cazzata.

Chiamata telefonica dalla Zona Rossa

Chiamata telefonica dalla Zona Rossa

Pronto?
Pronto? Che giorno è?
Ho udito la voce di mio padre nel vento
radente mentre censivo il ghiaìno
del sentiero ribattuto nei giorni
lithomanzia segreta che trama disgrazia,
rogna e collane di sbadigli per la guerra
che viene in attesa che l’attesa
trovasse il motivo, ma il tempo
è una melassa che distilla virtù
obbedienza, coda di vinacce esauste
dai Solocorpo percóla l’odiopaura
l’elemento base del raggiro eccezione…
Come stai?
La messaggeria è la casa dei morti
tutto si è spento in un grumo di impronte
le bottiglie vuote si assembrano
il passo è perduto, nell’isolamento è bene
evitare l’alcool e l’isolamento,
nel rifugio di canne e pietre per calcolare
il peso esatto dell’amputazione taciuta
questa differenza immaginabile tra il prima
e il poi o viceversa tra quanto spettante
e quanto restante…
Che fai?
Seduto accanto al rosmarino tra le api
punto il telescopio verso the next place
i suoi abitanti essi sono cambiati
la vita solo corpo, grugnito e delazione
le visioni da sussuro diventano fiumana
l’esperto in simulazioni di scenario tradisce
tra le righe di un discorso sicuro
l’inettitudine, la paura di non essere compreso,
la termite nella zampa dello sgabello
lo scivolo sul nulla truccato da salvezza
l’articolo tarocco apparentemente
gratis.

Nella casa ormai vivono i Ragni

Ormai vivono i ragni nella casa
dove torno a scovare ricordi, reverberi
e reperti d’un tempo che abitammo.
Alcuni vivi, altri bambini, tutti fummo lì.
Torno a cercare cancellando echi
tracce, ogni resto d’umano passaggio.
Il furgone a nolo nella strada, il cacciavite nella tasca,
non è l’armadio a scomparire,
non le foto di soldati e giovinette d’anteguerra,
non il buon servito per i pranzi
e la gioia d’esserci di gente scampata
agli stermìni, alla fame, alle guerre.
Tutto finisce nell’incerto padiglione.
Smontare, sradicare, eliminare, i convenuti
tradiscono l’uggia nella cernita dei tanàcchi.
Loro non lasciarono niente nella casa
era l’estate del settantanove
non lasciarono il canto liberatore
non lasciarono Il boato che fa
scoprirsi vero, forbici e nastro adesivo,
ci fu chi emerse ente minuto
cacciatore di segni nel tutto inconosciuto
smisurato che arresta il respiro
a chi si affaccia, al nuovo arrivato.
Loro non cercano, smobilitano.
Ben prima dell’estinzione scomparve
ogni traccia del vivere, degli affetti
passati e in corso. Tutto divenne crosta,
ciància vile spesa dai rimasti.
Non lasciarono nulla perciò essi non cercano.
Per loro tutto è disturbo e ruménta,
intralcio alla gara, e solo io sento il suono
della radio a transistor nella mattina di giugno
del giugno millenovecentosettantanove
gracchiare comunicati e canzoni
accompagnare alla vita, a una felicità esile
e inossidabile.

Brucia nella notte la città di San José

BRUCIA NELLA NOTTE
LA CITTÀ DI SAN JOSÉ

Brucia nella notte la città di San José
Certi impavidi serrano in pugno
ciotole di latta e noccioline che sono
cifra del tempo presente, allegoria e lamento,
come la miscela malfatta che scende e risale
è condanna all’inefficacia, al crollo
marginale, ripiego maldestro
(storytelling sovrabbondante
scarsissima expertise).
Non avanza nulla di normale,
non avanza un suono che sia d’amore
uno stralcio ripetuto di canto accorato
messo in loop su base industriale.
Non avanza la moneta per l’ultimo giro
per l’ultimo glorioso tentare
l’arrivo a l’Uomo a 6 fotogrammi al secondo
Il mistico modello che lo psiconauta
insegue, replica, finge, rimpiange
il suo mitico accoppiamento semi-impossibile
riuscito talvolta grazie a oscuri fattori
non replicabili, non esplorabili, climax
di visioni e rivelazioni liberi dallo sfinirsi
in cerca della colpa, la Colpa Maiuscola che
fu spesso prima della venuta nel corpo
e prima della ricerca fallace d’essa che d’essa è prolungamento e prova,
protuberanza nodosa che dòle. Eppure
nello slabbrato e colante ingombro
cerebrale emerge dall’altra dimensione
una cosa secca, sfasatura luminosa,
mano generosa che non prende e reca
consiglio, conforto, scrittura, lume.
Il vento caldo dell’estate fa volare la carta
con la porzione di codice mancante
per riattivare il senno smarrito un tempo
e mai ritrovato, intorno discorsi e teorie validate a forza dalla ripetizione ossessiva,
corpi smagriti che colpiti dalle parole fanno il suono della stagnola calpestata,
dell’erba fischiata nel campo, è un docusogno
parlato in Pidgeon English
che spiega la normalità, il male incurato,
incurabile, il desiderio di difenderne
l’apparenza che ti spossa, consuma, esaurisce.
Ma il cane abbaia e quel che è fatto è fatto
c’è l’approdo finale, lo specchio rotto del cesso
dove resiste una scritta rossa tracciata
dalla stessa mano generosa

L’esperienza è indistruttibile.