L’Oscuro Patrimonio

L’Oscuro Patrimonio (l’antefatto)

Viene il giorno e la sciarada rovina
La luce inchioda ai misfatti
chi porta L’Oscuro Patrimonio.

Cumuli d’ossa e spartizioni
Il fiuto balordo che distrusse
Scellerate generazioni.

Cumulo di colpe e compromessi
ereditate un giorno senza ragione
Senza richieste e senza spiegazione.

Cumulo d’imbarazzi e congestioni
Che i millenni non riescono a limare
Che la fuga pur veloce non distanzia

Tutto torna ed ha lo stesso sembiante
La parola cercata si dissolve
Come il sogno che credi ricordare

Ma d’essa non restano che scorie
Rifiuti, imbrogli e convinzioni
Che fanno ingorgo nel pensare.

Nell’armadio sprangato nulla entra
Tutto sembra esser sceso a patti
Ciò che conta era già successo prima.

(inedito dalla sezione “dieci resoconti” – in lavorazione, da una raccolta in lavorazione anch’essa)

Devo dirti il vero

Così mi disse il mio figliuolo lo scorso anno, allora che ci si preparava a lasciare la casa del mare per fare ritorno a Pistoia, per l’ultima volta davanti al mare al tramonto. Lo disse con affetto e naturalezza che avrebbero anche potuto persuadere al licenziamento qualcuno con la rendita di posizione. Cosa non praticabile da chi non ce l’ha. Decisi allora di vergare questa poesiuola estemporanea.

“Babbo si torna a vedere il mare? Restiamo sempre in ferie tutti i giorni. Non torniamo a casa. Non andiamo mai a lavorare.”

Nel dirti brutte cose il còr mi dòle
Ma stasera caro figlio devo dirti il vero
Non ha scelta chi d’agi nacque scevro
E il travaglio quotidiano fermar nun pòle.

Più si diventa precisi

Più si diventa precisi

Più si diventa precisi nel lavoro macchinico
Più ci s’incazza.
Più si diventa precisi nel lavoro macchinico
Più ci s’incazza.
Più si diventa precisi nel lavoro macchinico
Più ci s’incazza.
Più si diventa precisi nel lavoro macchinico
Più ci s’incazza.
Più si diventa precisi nel lavoro macchinico
Più ci s’incazza.
Più si diventa precisi nel lavoro macchinico
Più ci s’incazza.
Più si diventa precisi nel lavoro macchinico
Più ci s’incazza.
Più si diventa precisi nel lavoro macchinico
Più ci s’incazza.
Più si diventa precisi nel lavoro macchinico
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.
Più ci s’incazza.

(si può andare avanti all’infinito, fino a quando ci si stanca o, per l’appunto, fino a quando si finisce per incazzarsi)

Non escludo il ritorno

Qui sotto la postfazione che ho scritto per “Breve Antologia dal Fortòre”, la pubblicazione con cui Ass Cult Press, senza impegno, decide di rientrare in ballo.

come una postfazione

NON ESCLUDO IL RITORNO

Così come nella storia di Ass Cult Press non erano esclusi il silenzio, l’autoesilio, il disarmo unilaterale, allo stesso modo non era escluso il ritorno. E infatti eccoci.

L’antologia viene dal fortóre, dalla gioventù inossidabile e sfrontata, è breve, disorganica, non è considerabile un nuovo inizio, non ha prospettive. È un defunto che ci appare nel sogno, fa dei movimenti incomprensibili con le mani, biascica parole senza suono e poi gira dietro l’angolo e quando, sempre nel sogno, lo rincorri è scomparso.

Sul comodino al risveglio trovi una piuma che non sei sicuro ci fosse al momento di coricarti.

Non sei sicuro.

Simone Molinaroli per Ass Cult Press