Minchiatella poetica del Sindacato

Highlights della settimana appena trascorsa sono stati: l’apertura della bottiglia di Tignanello (in foto) che ha riservato momenti di piacevole compagnia e condivisione alla famiglia riunita in giardino al tramonto, la lettura di un classico del libertarianesimo “Anarchia, stato e utopia” di Robert Nozick e la decisione di restituire in assemblea la tessera del sindacato (cgil). Dopo molti anni di convinta adesione e alcuni di riflessioni amarissime sulle sorti del più grande sindacato italiano che molto ha contribuito al cambiamento del nostro paese, ma che ha rinunciato alla possibilità di poterlo/volerlo fare nel presente. Per l’occasione ho composto questa Minchiatella Poetica. La Minchiatella Poetica del Sindacato.

Ci sono due/tre toscanismi che mi sono permesso principalmente perché sono toscano, perché si prestavano al tono scanzonato e perché mi facevano gioco (altro toscanismo) nella composizione. La prossima minchiatella ne conterrà di più.

 

 

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C’eravamo tanto amati
Non ricordo come fu
Ero iscritto al sindacato
Una volta ormai non più.

Tutti mesi c’era la quota
da pagare al patronato
per le cene ai funzionari
E la ghenga dietro a rota.

C’eran sempre l’assemblee
coll’assenso pilotato
si votava il già deciso
meccanismo collaudato.

Al dissenso ogni qualvolta
Riservato era lo scherno
Del furbetto delegato
Dal pecorume spalleggiato

Tutta gente il cui governo
È una semplice equazione
Una sedia,  un privilegio
Un ufficio, un’esenzione.

Ma era nato il sindacato
Perché anche il poero avesse voce
Perché potesse dir la sua
Sopra quanto era pagato

Su quante ore pattuire
all’ufficio o allo stanzone
uomo o donna non importa
e di lavoro non morire.

Però adesso io più non pago
Non mi presto a questa spesa
per sentire bischerate
Dette con la voce accesa

Voce accesa di Gran Pazzo
Per coprire la magagna
Di menare un gran torrone
E non combinare un Cazzo.

 

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Minchiatella Poetica del Sindacato

inedito 2014 – di Simone Molinaroli

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Simone Molinaroli
Tutti i diritti riservati © 2014

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Tignanello 2003
Un bel Tignanello 2003 bevuto in giardino al tramonto

La Fiera dell’Urto di Vomito | Andrea Betti ne “La Felicità Terribile”

Ri-Pubblico questo memorabile testo di Andrea Betti proprio adesso, in questi giorni in cui c’è andato di moda scavare a fondo nell’inchino della Madonna al capoclan. Qualcuno avrà scomodato il ritardo culturale, molti si saranno sentiti sicuri tra i morbidi guanciali del loro progressismo alla buona, certi che le Madonne aborriscano essere portate sul baldacchino davanti alla porta di casa dei malavitosi. Nessuno che invece si concentri sul contenitore che le madonne e la mafia condividono.

Ne “La fiera dell’urto di vomito”, testo scritto sul finire degli anni novanta del secolo scorso, Andrea Betti traccia uno scenario più che possibile e più che reale di una festa di paese della laicissima, comunista un tempo, democratico/progressista al momento, Toscana. Terra di sagre, bestemmie roboanti, fagioli rifatti e crostini neri, terra in cui fu inventata la faziosità e dove imperano l’invidia, l’avarizia, l’ignoranza e un sistema di potere implacabile ed arrogante. Ove le madonne immaginarie si inchinano davanti alla casa del dirigente, perché la madonna non è mai nemica del capo esattamente come gli intellettualucci organici non sono mai in contraddizione col potere, anzi ne suffragano ogni mossa con la loro debole, quindi giusta, voce.

 

Questo ed altri testi di Andrea Betti sono stati pubblicati nel volume “La Felicità Terribile/Zucchero Spinato” uscito poter Ass Cult Press lo scorso anno.

Questo l’indirizzo per saperne di più sull’autore: hamonveg.blogspot.com

Chi lo volesse mi scriva all’indirizzo alla voce: contatti.

 

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La Fiera dell’Urto di Vomito

Benvenuti alla fiera dell’urto di vomito,
dove i manifesti son schizzi d’amore e le lotte dei Galli e le scommesse, per sciccheria, si fanno in francese avec un sanglant chemi-sier de Gautier le blanc chemisier, maintenant rouge
Rien vas plus – il giuoco è fatto, la beccata nella pupilla avversa, le creste macinate nell’agone
e l’imbonitore fava, dietro al bancone de’ panforti e de’ sanguinacci. Attraverso torroni, croccanti, brigidini e cilinghe infestati di sudore, le braccia pelose d’avventori donne, uomini e bambini, unti dalla purpurea benedizione d’una Processione, altalenante trofeo di Vergine in ciclo
Vergine in lagrime, sangue & arena. Sorretta da Chierici edonisti impasticcati la miracolosa preme il dolce calcagno sulla testa recisa d’un Toro scatenato e poi scannato in sua grazia, ed il suo occhio bufalino e opaco vede e riflette:

– omuncole in sciarpina rosa e piumino totale, gonnella in gabardina macchiata di bistro di mammà e cioccolatone negro strafondente, richiama il colore dei denti dei quattro Carabinieri in alta uniforme e bassa lega, pennacchio al cielo, fuoco d’artifizio retrostante… fa cilecca… moccolo gutturale del fuochista indigeno in tuta d’olio bono e olio di macchina, l’ascella pezzata Esso e la mascella spezzata,
– la ginnasta giovina sul tortino a tamburo esegue le grand-jetè: le madri piangono
– al pianoforte a pila la Sig.ra Gori con le dita smaltate e i ricignoli tinti di rosso, alita bunker, dirige con piglio emostatico, ferreo, indossa occhiali con catenella d’oro zecchino D’oro, gli amanti delle madri palpano culi stupefatti di figlie tredicenni, là , dove duole il brufol grosso –
– giovin signori in scuter e piattoni aerodinamici sfoggiano gelatine kevlar, colli sudici, e fauci spalancate sull’oblio cenobitico di hamburger di soia e lucertole vive, dispensati da un harekrsna: offeso per l’aggiunta animale al suo prodotto esterno lordo, lamenta un odio non corrisposto, non provato, mai spentosi. Inutilmente gorgheggia litanie rivolto a colei che mostra la carie del sorriso, come un ventre sensuale costellato di punti neri che chiama NEI e stelle implose, nane bianche al largo da ogni troiaggine sottocintura, sotto il fiocco del top stretto al grasso seno come nuove costole, per nuove genesi di un terzo sesso, il suo, maremma malaria! dalle cliniche di Casablanca al pronto soccorso mobile in Piazza: la Misericordia indossa giacche arancioni catarifrangenti su fieri ragazzoni briai, intenti a porgere impacchi ghiacciati ai rissosi del Biliardo, intellettuali della geometria di ogni tappeto verde coi polpastrelli intrisi di tre a mattoni e due di picche, esperimentatori di Grappe nardini ed estere doppio-malto esterrefatte turiste circumpolari decompongono e ricompongono la logica del Caratteristico e del Pittoresco, in un idioma piallante pieno di g e di k, ricostruiscono il paesaggio secondo i criteri Kantiani della cartolina, mandata agli amici per fargli dire, invidiosi:
“GKGK KGGGKK GKGHGKKGGGHGKKKGHKKKK!!!”
Acrobati e trapezzisti eroinomani, agguantano al braccio, piroettando la Soubrette di tutti gli Sballi, e i balli lisci fra damigiane di vuoto festeggiano alticci, la nascita della Tragedia e della figlia del Maresciallo, Itaglia, portata in trionfo dal vincitore universale del torneo di briscola a cui tutto il mondo deve svariati cognacchini e caffè – dalle sbarre di scantinati mugolano significativamente autoclave non invitati intanto crolla una palazzina in periferia, sventrata dai gas del suicida: trionfò la sera scorsa, nella pugna dei Borlotti rifatti salvia, ovo e scalogna di quella NERA, degli orti sempre più verdi di ogni vicino frontiera avversa di persiane sbatacchiate e persone abbacchiate sui coiti vertiginosi dei giòvani trsgrssivi a capello sciolto sotto la pioggia che rovina la festa e muta in fango i giardini fioriti.
– Cani Idrofobi nel buio delle logge del Comune ringhiano ad assenti testimoni di Geova; loro gli vendono Watchtower e quelli si convertono, asportandosi chirurgicamente, con un morso al cuore, l’odio dal loro petto. Un morso al petto come quello che sentì Ruggero nel vedere, cristallizzate chiazze di sperma altrui, sulle calze ad uncinetto della su’ fia GiovannaD’Arco, le sue lacrime non spensero il rogo, nemmeno la confessione al prete spippato né la penitenza sussurrata dietro una colonna fra la navata centrale, il pulpito e la tranvata finale: essa ebbe a inginocchiarsi sulla grata dei Matti, nascosti nelle cripte-cottolengo del Duomo, frutti dell’abominio di rapporti consanguinei fra mariti e mogli per bene, mugolava ancora le Glorie quando venne sorpresa. La lingua del matto, rigata di ruggine, ancora attaccata alla grata traboccava a scassadenti – la processione entra in chiesa lo sdegno pervade 4 dei 12 portatori sani di madonne, fra cui Ruggero – tutti fratelli senza saperlo,
il volto di porcellana della Vergine, riflette la luce delle candele alieno ad ogni peccato e ad ogni giustizia, ri-piange prima di sbriciolarsi al suolo – il prete spippato bestemmia
le grida della peccatrice si confondono a Romagna Mia, il cantante, offeso
alza la voce.

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Andrea Betti – La Felicità Terribile
Tutti i diritti riservati
© 2013
Ass Cult Press – www.asscultpress.com
Andrea Betti – hamonveg.blogspot.com
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La Felicità Terribile – Andrea Betti (Ass Cult Press, 2013)

Breve resoconto di inizio millennio | da “Scritti per la Fine del Mondo”

Una composizione dalla mia ultima plaquette “Scritti per la Fine del Mondo” che si concentra sugli operatori di settore, gli addetti ai lavori e sull’edonismo irragionevole e la retromania che sembrano essere la malattia inguaribile di cui inevitabilmente periranno questi esemplari d’umano che popolano il presente.

 

 

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BREVE RESOCONTO DI INIZIO MILLENNIO

 

Gli Orsi Polari morivano di noia
ancorati all’idea di una banchisa perduta.
La bianca distesa svanita
in un disgelo anch’esso
composto con la sostanza del ricordo.

Innamorati felici
si scambiavano revolverate
correndosi incontro, moribondi,
col kit di primo soccorso
per curare interminabili ferite
di armi sconosciute.

Uomini confusi
lanciavano granate nella foschia,
il breve ridere loro furbesco
partoriva lo sgomento
che paralizza il disegno animato
nel vedere l’ordigno beffardo
rilanciato dal nemico inaspettato.

C’erano questi ed altri
ed altri ancora che non sembravano importanti.
Addetti ai lavori in maggioranza,
funzionari e giovani di mestiere
che abusavano dell’invidia e del rancore
e non sembrarono mai capire
la loro ridicola sventura.

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da “Scritti per la Fine del Mondo”
di Simone Molinaroli (Ass Cult Press, 2013)

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Simone Molinaroli
Tutti i diritti riservati © 2013

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Scritti Per La Fine Del Mondo – Simone Molinaroli by Simone Molinaroli

CHE FINISCA PRESTO L’INVERNO – inedito 2014

Un po’ in ritardo sui tempi di cambio delle stagioni, dal momento che sembrano essere già arrivate sia la primavera sia l’estate, ecco la mia ultima minchiatella poetica. Pensata e cominciata durante il lungo inverno di campagne elettorali invasive svincolate dalla prossimità di appuntamenti elettorali, terminata ieri mattina in sala mensa.

Con tutti i limiti imposti dalle capacità dell’autore, dalla voglia, dal tempo a disposizione, somiglia a un sonetto.

 

 
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Che finiscano presto l’inverno e le brume
e con l’inverno le campagne elettorali
e con le brume i brutti musi,
i manifesti indegni, i temporali.

Che finiscano le afflizioni, l’ignominia e le affissioni,
le manfrine degli uomini peggiori,
il parolume criminale lontano dall’umano
le rivoluzioni promesse e i caporioni.

Che torni Primavera e la scintilla
che accende i corpi e ingovernata
con le vite qualunque fa la storia,

il giusto e l’eccedenza incalcolata,
la violenza che difende la ragione
la ragione da cui il diritto stilla.

 

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CHE FINISCA PRESTO L’INVERNO

inedito 2014 – di Simone Molinaroli

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Simone Molinaroli
Tutti i diritti riservati © 2014

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Ich bin ein Provinzler
Ich bin ein Provinzler

Il Mondo è Morto | da “Scritti per la Fine del Mondo”

Il Mondo è Morto, non senti l’odore?
Si sente odore d’incenso e idrocarburi,
di eroina e trasmissioni elettorali.
Non senti il suono continuo
del calcolatore bizzarro che sancisce
la Sua Morte?
Non senti il canto degli Sterminati?
I traccianti nel cielo non sono
pirotecnie di compleanno
e nemmeno naufraghi in gommone
che segnalano disperati la posizione.
In televisione non ne danno notizia.
Guardie armate sparano
colpi d’avvertimento verso il cielo
per arrestare la marcia dei curiosi
e spesso un Tedesco vestito da Donna
parla della necessità del confronto,
ma necessariamente, nella Verità.
Il Mondo è Morto, non senti l’odore?
Non senti le trombe, gli sciacalli, gli avvoltoi
il buonumore raro del barista
che ti parla di un futuro improbabile
ti passa un bicchiere avvelenato
da un sorriso fuori tempo?
(Le profezie, la termodinamica, il buonsenso, la noia,
pronosticano in tempi diversi lo stesso evento
peraltro già avvenuto…)

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da “Scritti per la Fine del Mondo”
di Simone Molinaroli
(Ass Cult Press, 2013)

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Simone Molinaroli
Tutti i diritti riservati © 2013

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