Vendete gli abiti con cui hanno vestito
la vostra vita e il vostro sonno.
Vendeteli agli specialisti del riciclaggio
e come promozione includete nel prezzo
i biscotti che vi hanno avvelenato
e la sorpresa che vi colse
quel pomeriggio che vostro padre
confessò apertamente di non essere
niente di più che l’uomo che vi generò
e confessando pianse e alla fine
aggiunse che era giusto che sapeste
che vi avrebbero strappato tutto
in cambio di quei vestiti che un giorno
avreste fatto bene a vendere prima che
vi regalassero anche i mobili e gli optional
e che vi strappassero veramente tutto.
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Il Crollo degli Addendi
Simone Molinaroli
Ass Cult Press/Dizlexiqa
2006
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Andiamo Via! Il luogo è affollato
e non è il numero a preoccuparmi, ma il Suono.
Il belato zelante e servile imbracciato come un’arma
da una moltitudine incerta e amante dell’assenso,
che alla bisogna include
e per capriccio
stermina, condanna, ________________sanziona.
Scrissi questa poesia nel gennaio 1995. La guerra nei Balcani, che per me fu uno spartiacque emotivo radicale, era sul finire. Pur avendo vividi ricordi della lunga e sanguinosa stagione del terrorismo italico, ci furono elementi inediti nella guerra nei territori della ex Jugoslavia. Tanto da generare uno sgomento e una preoccupazione profonda. Elementi inediti di copertura mediatica, e uno sfruttamento massiccio e strumentale degli eventi sanguinosi che avvenivano oltre l’Adriatico, porsero all’attenzione della disattenta opinione pubblica degli europei d’Occidente una ferocia che a torto si pensava scomparsa col progresso, tanto da far sembrare anch’essa inedita.
Voglio chiarire che non è che sia importante cosa sia stata per me la guerra dei Balcani, ma se così non fosse stato non avrei mai scritto questa poesia.
Non mi ricordo in concomitanza di quale delle stragi provocate dai colpi di mortaio (o dalle mine antiuomo a seconda delle versioni) in mezzo alla gente in fila per i viveri, m’imbattei a notte tarda in una trasmissione televisiva, di ritorno da una tranquilla serata da studente universitario, in un filmato non bonificato ad uso dei telegiornali, in cui si potevano vedere le fasi immediatamente successive all’esplosione.
Dovetti chiamare nel mezzo della notte (era Fuori Orario la trasmissione) l’unica persona che sapevo mi avrebbe compreso e che probabilmente aveva visto la stessa cosa. Dovetti chiamare per essere sicuro di aver visto bene. Perché, nonostante l’infanzia durante la lunga e mai ben ponderata stagione delle stragi italiane, mai mi era capitato di pensare possibile un colpo di mortaio in mezzo ai civili in fila per il pane. Mai avrei pensato di vedere il corpo di un uomo senza mezza testa caricato su una Golf, di cui si potevano vedere, credo, la faringe e le vertebre cervicali.
Per molto tempo molte cose mi sembrarono insensate.
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UNA GUERRA VISTA DA LONTANO
Domattina il movimento sarà veloce.
Nessun problema tranne
un macilento senso di rovina
che prende lo stomaco.
Nessun turbamento nelle geometrie forsennate
dei capitani di vascello.
E se nevicherà mireremo gli amici
sdraiati per terra, calpestati dal mondo
nel riso e nel fumo nessun rischio calcolato
nessun coinvolgimento al bordo dell’esistenza
se non concederci la vista di macelli ordinari
al limite della banalità.
La rovina è la realtà
la menzogna di moderni Cortez
alla conquista delle Americhe
allo sterminio silenzioso dei vinti.
Una guerra vista da lontano
è come un tramonto visto dal vivo;
voltandosi scompare.
Ne rimane il puzzo,
ne rimane il rimbombo cupo
che diventa i fuochi di una festa,
la notte, oltre una collina.
Al puzzo, come in un cesso,
si fa l’abitudine.
Simone Molinaroli | www.simonemolinaroli.org l molinaroli[at]asscultpress.com
Una poesia scritta agli inizi degli anno zero dopo una festa di matrimonio alla quale mi ero annoiato mortalmente e inutilmente e che mi spinse a una riflessione su quanto meglio sarebbe, talvolta, consensualmente dimenticare la ventura che ci fece conoscenti, parenti, amici, colleghi, e non sapere niente, realmente non sapere o al limite fingere abilmente e non cedere alla tentazione di rivelare, gli uni degli altri.
La poesia è compresa nella raccolta “Il Crollo degli Addendi” che uscì agli inizi del 2006 per Ass Cult Press.
L’ETÀ SENZA TESTIMONI
Il motore è acceso, la nube _______________ perde pressione
bicchiere di spumante secco
dopo bicchiere di spumante secco
gli organi assumono una posizione ________________e convengono con ________________________gli invitati
sulla necessità di una sostituzione
del cambio vincente in mezzo al campo.
Tutti, organi e invitati, rimpiangono ________________a prescindere
da tare ereditarie, limiti intellettivi,
censo, status sociale
tutti rimpiangono un’età mai esistita.
L’età migliore, l’età felice,
l’età senza testimoni.
Tra i testi di Andrea Betti contenuti nel volume “La Felicità Terribile/Zucchero Spinato”, volume la cui stampa ho avuto il privilegio e il piacere di seguire personalmente, uno dei miei preferiti era, ed è, “Bengala“.
Dove si ironizza abilmente sulla tristemente ridicola sorte di chi, alla ricerca della visione, s’imbarca in viaggi anche molto impegnativi per poi, una volta ottenutala, finire per scacciarla in quanto ormai solo un ingombro.
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BENGALA
Il mondo è di chi fugge (per due mesi) in India e, all’acme dell’illuminazione, incontra gente di Maresca, di Pontelungo, di Cècina, di Milano, di San Felice, di Akron (Ohio), l’ex cantante dei mattiabazar, e ridiscende le pendici dell’Himalaya con una volvo nera, schizzettata della melma grigia di cenere del Gange, dopo aver bruscamente scacciata dal cofano, addormentata, una magnifica tigre.
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