È tardi e c’è la crisi

È tardi e c’è la crisi. Previste piogge disastrose su gran parte del paese. In alcune località sono previste frane, peggioramenti della già precaria situazione psicologica generale. Sembrerebbe necessario il miracolo. O al limite il colpo di tacco casuale allo scadere del tempo. D’altra parte, gli ideologi dell’ordine naturale cercano con ogni mezzo di inoculare nell’animo dell’italiano medio il sospetto che la colpa della mala situazione sia proprio sua. Proprio della sua medietà che gli impedisce slanci di volontà superomistica.

Nel mentre, l’impiegata pensa a voce alta davanti a una folla di utenti sbigottiti e nell’imbarazzo generale delle colleghe. Mentre invece dal tabaccaio, una circolare della locale azienda sanitaria sui rischi connessi al gioco d’azzardo fa mostra di sé, circondata da centinaia di Gratta e Vinci, biglietti di lotterie, pubblicità del bingo, delle vite immaginate ad uso di persone comunque incapaci di immaginarsi dentro un’esistenza diversa.
Nel mentre, davanti all’aeroporto di Fiumicino, c’è un totalizzatore che indica gli euro vinti finora dai disperati del gratta & vinci. Al momento sono 7.439.239.041. Manca di sapere qualcosa in questo semplice dato numerico?
Nel frattempo il negozio all’angolo, che un tempo era un laboratorio di un calzolaio, è diventato un “Compro Oro”. Venti metri più avanti una sala scommesse. Il panorama è questo.

La colpa di questa stagnazione è nella testa del prudente cittadino, che al cospetto dei temibili marosi di una crisi sospetta, i cui teorici fanno sempre più spesso ricorso ad argomentazioni nebulose, come nebulosamente si propongono come salvatori del salvabile, dentro il suo guscio di noce fatto di risparmi più e meno sudati, più e meno fatturati, legittime aspirazioni di continuare a vivere secondo degli standard di decenza non rinegoziabili, rifiuta di prendere il largo e cercare quelle che Ulrich Beck chiama “soluzioni biografiche” per arginare una crisi che si configura sempre di più come sistemica. Del resto, per quanto il linguaggio tecnico cerchi di manomettere il significato, non delle parole, ma dell’esperienza, sempre di campare d’espedienti si tratterebbe. E una vita d’espedienti, si sa, può andar bene solo a chi se la può permettere.
Che imperdonabile mancanza di coraggio questo cittadino mediterraneo! Il tecnocrate lo incalza. Lo pungola. Lo chiama bamboccione, lo fa passare per rincoglionito, ci si mettono pure gli stranieri professionisti della garanzia sociale e dei privilegi coloniali a rompergli i coglioni.
Tutte le forze schierate a difesa dell’ultima, ideologica fase del capitalismo come l’abbiamo conosciuto.

(Per le previsioni meteorologiche non datevi pensiero. Il brano l’avevo iniziato un paio di settimane fa…)

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Amartya Sen sulla Felicità e le strategie di austerity dei tecnocrati

Da un più lungo intervento di Amartya Sen al Festival della Scienza di Genova e pubblicato sul Sole24ore di domenica scorsa, riporto uno stralcio dove si parla delle politiche di austerità dei cari tecnocrati europei.

 

“…in aggiunta alla recessione la disciplina dell’austerità viene imposta per ridurre il deficit a molti paesi con un tasso di crescita zero o negativo. Creare sempre più disoccupazione laddove c’è una capacità produttiva inutilizzata è una strategia bizzarra, e non basta ai padroni della politica europea dire che non si aspettavano forti cali di produzione e alti e crescenti tassi di disoccupazione. Perché mai non se l’aspettavano? Da quale idea dell’economia si fanno guidare? Di sicuro la qualità intellettuale del loro pensiero è un motivo di infelicità. Non si tratta soltanto di avere un’etica solidale, ma anche un’epistemologia decente.”

qui l’intero articolo:

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2013-01-24/infelicita-istituzioni-europee-195150.shtml?uuid=AbhTarNH&p=3

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