C’è una cosa che è peggio del rivoluzionario da tastiera ed è il critico da tastiera del rivoluzionario da tastiera. C’è di peggio di un pessimo scrittore e di un pessimo cantante e sono i loro critici pavidi. C’è qualcosa di peggio di una vita mal spesa. Ed è una vita spesa a parlar male delle vite mal spese.
Diceva Cioran, e forse non ricordo con esattezza la frase ma ci provo, che è meglio parlare male di cose che si conoscono che con grande perizia di ciò che non si sa.
C’è qualcosa di peggiore dell’ignoranza e delle sgrammaticature che il triste e strumentale formalismo del critico 2.0 attribuisce a destra e a manca, tentando di delegittimare ogni difformità intellettuale. Ed è il bello scrivere e il parlare forbito servili. L’intelligenza asservita e priva di coraggio. E c’è una cosa è peggio di un brutto tatuaggio. Il tempo impiegato a non farsene uno più bello o a non farsene affatto, ma privi di quell’ansia di predicatori e moralizzatori falliti negli intenti, nell’effetto e nella pratica. Sono quei segni privi di ogni rimando alla vita che anche ben eseguiti, non necessariamente sul derma, riempiono l’esistenza degli uomini (e delle donne).
E c’è una cosa che è proprio peggio di tutte. Il dividere il mondo in due, andare avanti per dicotomie che non raccontano mai tutta la storia da nessuna delle angolazioni possibili. Tutto il saperla lunga o il fingere di sapere di non sapere che si riducono, dopo un attento ed impietoso esame, a uno stolido, conservativo, dissonante rifiuto di ogni alterità.