L’assassino scivola e perde la pistola

L’impasse attuale della vita politica italiana mi ricorda, con tutto il corredo di suoni e annessi di tipo emotivo, la scena principale di un film thriller, non di uno in particolare ma di un film thriller archetipico che nella storia umana viene proiettato a ciclo continuo, quella in cui l’Assassino rincorre la vittima designata nell’oscurità, armato di Pistola. Ma non la scena iniziale in cui un comprimario, un personaggio ininfluente che, senza essere adeguatamente sviluppato, viene ucciso per introdurre nella narrazione e nella mente dello spettatore la figura dell’Assassino armato di Pistola (è un’allegoria – lo preciso subito per le persone troppo inclini alle interpretazioni letterali). Non quella iniziale che ci consente di tracciare un quadro della situazione complessiva e introduce tutti gli elementi simbolici. No. È la scena finale. Il protagonista fugge, la situazione è disperata ed è debole e confuso. La determinazione dell’Antagonista è nota e il Protagonista non è un eroe, non è armato e non ha un chiaro piano di fuga. Fugge solamente e attende il Deus ex Machina.

E siccome è il protagonista il Deus ex Machina si manifesta. L’assassino cade e perde la pistola. Il protagonista si trova nella condizione di potersi salvare e non è per i suoi buoni sentimenti o per ricompensa di un  suo presunto merito in una scala di riconoscimento del valore. È solo per caso che questa possibilità si offre.

Il protagonista cosa fa?

Ecco, al sistema politico italiano è adesso offerta quella possibilità che è offerta al protagonista del film. Non gli è offerta evidentemente per meriti personali pregressi (come poter pensare questa cosa?), ma solo per caso. Lo stesso caso che manovra l’evoluzione e il resto degli eventi umani.

Uno scenario stocastico.

Siamo al punto in cui, anche se il raggiungimento di questo punto fosse stato in gran parte determinato dalla progettazione di qualche oscuro regista, l’assassino cade, perde la pistola e il protagonista immeritevole ha la possibilità di curvare la sceneggiatura.

Ce la farà il nostro protagonista?

 

 

 

L’espressione di Rosy Bindi e l’estinzione del PD

Io non guardo mai il televisore. Il mio non ha il decoder per il segnale digitale. E il decoder che mi hanno regalato è ancora imballato. La scatola ha ancora la reggetta di plastica. Stasera però ero a cena a casa di mia madre e mentre mangiavo, di spalle all’apparecchio, ho ascoltato lo scambio di battute tra Rosy Bindi, la Gruber, un certo Mieli e in collegamento esterno il nuovo sindaco di Parma. Il Pizzarotti. Alla fine del Risotto mi sono voltato. Mentre il sindaco parlava, cercando di mantenersi a un livello dialettico medio-basso, Rosy Bindi non riusciva a nascondere delle espressioni di ironico disprezzo. Erano espressioni che a Pistoia chiameremmo “a-presa-di-culo”. E per finire in bellezza, un maldestro tentativo di “Uomo di Paglia” evitato con garbo e fermezza dal tanto disprezzato avversario.
Quelle espressioni tradivano l’incapacità di misurarsi sul nuovo terreno delle aspettative e delle istanze inderogabili di un gruppo sociale sempre più ampio. Che il Presidente della Repubblica può anche fingere, con fare da vero mafioso, di non aver sentito. Che Bersani può liquidare rivendicando la vittoria di Budrio ed esponendosi al pubblico ludibrio con un gioco delle tre carte verbale in cui si afferma che non ci sono posti in cui si perde, ma solo posti in cui non si vince (significato?). Nell’insofferenza a ogni forma di dissenso, anche quello legittimo che non ti fa il piacere di portare le devastazioni nelle strade, si manifesta la sclerosi di un’intera classe dirigente ormai definitivamente scollegata da ogni realtà immaginabile. Autoreferenzialità, segnali di intemperanza e maleducazione inaccettabili, disconoscimento della parte avversa. Si manifestano i motivi per cui il Partito Democratico, al pari delle altre formazioni “tradizionali” è destinato a scomparire in tempi medi.
Essi non hanno più via d’uscita. In prospettiva gli rimane solo il Golpe. In combutta con gli altri scomparenti. Ed essi si, dovranno fare i conti con qualcosa di innominabile. E non il Pizzarotti, che all’accusa di essere stato eletto coi voti del Pdl risponde giustamente che i voti non appartengono a nessuno, se non ai cittadini.

Io non sono un politologo, ma solo un libero pensatore.
E non guardo mai la tv. Che sia io che a non capire i codici della comunicazione televisiva?