A sedici giorni dal fattaccio posso scrivere quel che penso di Alex Schwazer. Perché a caldo erano tutti indignati. E si rischiava di finire nel calderone dell’indignazione pelosa.
Perché era indignato anche quello che, gonfio di coca alla guida del Suv, cerca d’investirti sulle strisce per divertire le amichette, anche il bottegaiuccio ladro sotto casa, anche il bagarino, lo spacciatore, il ricettatore, il prete pedofilo, anche quello che non paga le tasse, anche i camorristi, anche quello che ha vinto il concorso truccato, tutti indignati per il riprovevole comportamento del traditore della patria. E allora, giù al reprobo, vomitare valanghe di merda senza nessuna cognizione, senza porsi nessuna questione, tirarci dentro anche la fidanzata in un’escalation ad uso e consumo dei rotocalchi e degli sciocchi.
Io ho molta comprensione per il povero Schwazer. Povero perché colto in fallo e accusato d’infangare il sacro spirito olimpico dai controllori di un movimento che, per dimostrarsi pulito e continuare a legittimarsi, ogni tanto individua una vittima sacrificale da immolare sull’altare dello Sport Puro e dei contratti di sponsorizzazione.
Perché, non posso dirlo con certezza e convincere nessuno che ciò che dico corrisponda a verità certa, ho l’impressione che il doping sia una pratica molto diffusa. Forse la norma. Tanto da far esprimere a molti la necessità della legalizzazione del doping stesso.
Povero perché in fondo il doping è dannoso soprattutto per chi lo pratica e non si potrà certo dire che il Povero Marciatore non fosse un buon atleta solo perché colto a fine carriera ad alterare le proprie prestazioni. Perché in definitiva l’ha fatto per i dirigenti della federazione, quella manica di Panzoni incravattati, pagati per non fare un cazzaccio nulla (permettetemi questa colorita espressione pistoiese) e che nessuna forma di rinnovamento politico e sociale (se mai un rinnovamento c’è stato) è riuscito a scalzare dalla loro posizione. Centinaia di governi, due repubbliche e mezza e i tecnocrati dello sport restano al loro posto, con la solita espressione e la solita sicumera. Povero perché costretto a sopportare le dichiarazioni stupite e paternaliste dei suddetti dirigenti. Perché l’ha fatto per permettere al nazionalista quadriennale di commuoversi un poco sul divano durante l’Inno di Mameli, prima di tornare al consueto italico egoismo. Povero perché ha dovuto sopportare il moralismo ipocrita di gente abituata e addestrata alla spregiudicatezza, alla corruzione, all’aggiramento della norma, al colpetto di gomito e alla strizzatina d’occhio, al concorso truccato e alla raccomandazione del prete. L’indignazione di chi, comprando il junkie food della kinder ai figli, ritiene diseducativo che il testimonial del suddetto marchio alteri in modo fraudolento le proprie prestazioni sportive. Ma non è più diseducativo abituare il giovane al disordine alimentare?
Ma come potrebbe Alex Schwazer vergognarsi per l’indignazione media del cocainomane medio alla guida del suv (ritratto dell’Italiano Moderno)?
Come sempre la luna viene ingoiata dal dito…
Agli organizzatori del Rolando Garros, che pretendevano che si cambiasse i bermuda sfrangiati di jeans, André Agassi disse: “mi toglierò i miei bermuda tamarri quando voi, come a Wimbledon, toglierete i cartelloni pubblicitarii da bordo campo”.
p.s.
Mi sono permesso di reinterpretare la battuta di Agassi.
Col copyright siamo a posto. La foto l’ho fatta io.
quel pianto davanti alle telecamere è stato probabilmente il più grosso sacrificio fisico al quale la sua federazione l’ abbia mai costretto.